| I nomi non mi convincono... Il capitolo nemmeno... vabbè, tanto io penso sempre di scrivere schifezze...
Capitolo3
Rimasi per qualche minuto nel corridoio buio. Ripensai alla conversazione appena avuta. Mi sentivo la testa leggera, i morsi della fame erano quasi sopportabili...ero al settimo cielo. Mi diressi a passo di danza verso la mia celletta umida. Avevo avuto la sfortuna di ricevere una delle celle più malsane dell’intero palazzo, umida e puzzolente. E buia. A dispetto della mia natura di vampiro, amavo molto il sole. Il sole era così vivo, così caldo... Amavo il modo in cui i suoi raggi mi carezzavano il volto, nelle rare giornate in cui mi era permesso uscire, anche se solo per fare qualche commissione. Amavo in modo in cui lambivano il mio viso...come avevano fatto le sue mani... Sospirai. Purtroppo non l’avrei più rivisto... Poi mi accorsi che lo scorrere dei miei pensieri raminghi stavano iniziando a sfuggirmi e decisi che era meglio evitare di continuare a fantasticare, imponendomi di ritornare seria. Ero in prossimità degli alloggi degli Schiavi, o meglio, delle prigioni, perchè in fondo erano questo, quando mi ricordai le parole del padrone. Aveva detto che avevo la giornata libera. Ero così presa da lui da non aver prestato molta attenzione alle sue parole. La giornata libera. Non riuscivo a capacitarmi della mia fortuna. Non avevo mai avuto una giornata libera! Potevo decidere cosa fare...avrei potuto fare una passeggiata, stendermi al sole o semplicemente gironzolare per il vicino paesino... Mi si dipinse sul volto un’espressione gioiosa. Ero estasiata all’idea di avere un giorno di riposo, un giorno tutto per me... Dovevo comunque tornare in cella per cambiarmi d’abito. Non potevo uscire con quegli stracci. Avrei dato nell’occhio. Avevo un paio abitino da popolana nascosto in una cesta, in un angolo. Me l’aveva donato una schiavetta con cui avevo stretto amicizia, poco prima di essere mangiata. Lei sapeva che non ne avrebbe più avuto bisogno... Mi sfuggì una lacrima. Volevo molto bene a Becky. Era come una sorella per me. Ma per gli schiavi era così. Si sapeva che, presto o tardi, tutti i tuoi amici, parenti, conoscenti, avrebbero fatto la stessa fine. C’era solo da rassegnarsi. Entrai in cella. Non era chiusa a chiave, nessuna lo era. Nessuno di noi si sarebbe mai sognato di fuggire. Solo i più ribelli venivano rinchiusi. E non era di certo il mio caso. Entrai e mi chiusi alle spalle la porticina di legno, ormai vecchia e marcia. Mi distesi un attimo. Naturalmente non avevo un letto. Il mio giaciglio era composto da un mucchietto di paglia ammassata alla bell’e meglio. Possedevo anche due ceste di vimini, che contenevano i miei scarsissimi effetti personali e l’abituccio di Becky. Presi il mio pentine sdendato, usato solo nelle occasioni speciali, e tentai di sistemarmi i capelli. Mi sciacquai il viso con l’acqua del catino. Mi cambiai il vestito. Naturalmente non avevo uno specchio quindi, sperando di essere presentabile uscii. Chiusi piano la porta, dirigendomi verso l’uscita. Purtroppo incrociai la Guardia del piano. Lo salutai chinando rispettosamente il capo Mi guardò un attimo. Poi si parò davanti all’uscita. -Dove credi di andare, Eleanor?- disse, fulminandomi con lo sguardo. Non mi chiamava mai con il mio nome, troppo pretenzioso per una semplice schiava, se non quando intendeva punirmi o rimproverarmi. Mi spaventai. -Zachary i-io ho l-la giornata l-libera...- tentai di spiegarmi. Ma non mi ascoltò, anzi, rise fragorosamente. -E tu ti aspetti che io ci creda? Conosco il tuo padrone, il conte di Darg, non lascierebbe mai un giorno di pausa ad un pezzente fannullona come te! Come hai potuto pensare di darmela a bere piccola? Lo sai cosa aspetta chi tenta la fuga.- concluse. Sulle sue labbra si dipinse un sorriso crudele. Le fruste dei guardiani erano fabbricate in un modo particolare, come tutte le loro armi, in modo da poter ridurre a brandelli senza alcun problema la pelle degli schiavi, leggermente più morbida di quella degli altri vampiri. Ricordavo quanto faceva male. -No! Ti prego, non frustarmi, non ho fatto niente di male! Te lo giuro, ho cambiato padrone! È un ambasciatore! Oggi mi ha incontrato...- tentai di spiegarmi. Ero terrorizzata da Zachary. Aveva decisamente la mano penìsante. Inolotre, a giudicare da come mi guardava, non si sarebbe limitato a frustarmi questa volta. Rise di nuovo fragorosamente. La sua risata era crudele. Naturalmente non mi credeva. -Non dire idiozie! Potevi inventarne una migliore già che c’eri! Un padrone ti ha incontrata e ti ha lasciata in vita?- poi mi guardò. Con malizia. -sai che sei veramente carina con questo abito? Molto affascinante...sai, ho in mente una punizione migliore delle frustate per te...sarebbe un peccato rovinare il tuo corpo...tranquilla, prima o poi ci passate tutte voi schiave...- Mentre diceva ciò si avvicinava sempre di più. Io ero paralizzata. L’idea di venire violentata mi spaventava molto di più della frusta o del coltello. Mi prese la testa e con prepotenza spinse la sua bocca sulla mia, aprendomi le labbra violentemente. Non so neanche io cosa mi prese. Non volevo subire anche quell’umiliazione. Avevo sempre sopportato tutto in silenzio, ma questo era troppo. Sentii il potere scorrere nelle mie vene, ma venne bloccato dal bracciale di metallo che avevo al polso, che serviva proprio ad impedirmi di usare i miei poteri; anche se non sapevo quali fossero sentivo che, se avessi potuto usarli, mi sarei liberata di quel babbuino in attimo. Intanto quell’essere schifoso aveva preso a palparmi il seno. Non riuscii più a trattenermi. Strinsi il pungo destro e lo colpii in pieno volto, con tutta la forza che avevo. E non era poca. Ero pur sempre una vampira. -Brutta schifosa pezzente! Ora ti insegno io a rispettare i superiori- ringhiò zachary, asciugandosi con il dorso della mano il sangue misto a veleno che gli colava lungo il volto. Prese la frusta. Non feci in tempo a scansarlo. Mi colpì in pieno petto, sacaventandomi a terra. Non ebbi la forza di muovermi. Si avvicinò, colpendomi con un calcio all’addome. -Stupida! Tutto questo solo perchè mi hai rifiutato! Tanto ti prenderò comunque, prima o poi! Se sopravvivi alle mie frustate, è chiaro. Potevi intanto evitare di inventarti una scusa tanto sciocca per giustificare la tua fuga.- gridò. Poteva permettersi di gridare tranquillamente. Nessuno mi avrebbe soccorsa. La sua frusta mi raggiunse ancora. E ancora. Ancora. Non so quante volte mi colpì. La mia schiena era ridotta a brandelli. Il mio sangue aveva invaso tutto il corridoio. Sentivo la vista appannarsi. Tutto girava. Non avrei potuto sopportare altre frustate, non sarei sopravvissuta. Se ne accorse anche lui. -Forse ci sono andato un po’ troppo pesante. Non importa, ti stava bene. Tanto non sei l’unica schiava carina...passiamo al colpo di grazia?- disse, sempre ridacchiando. L’avrebbe fatto, mi avrebbe uccisa con il suo coltello avvelenato, troppe volte avevo assistito a pestaggi come quelli da parte delle guardie. E la conclusione era sempre la stessa. Lo schiavo ne usciva distrutto, malconcio. Troppo. Nessuno faceva curare gli schiavi, venivano lasciati a morire. Così la guardia dava il colpo di grazia. Ma io non volevo morire. Non ora. Non più. Non per un motivo così sciocco. Che modo stupido di morire. Piansi in silenzio. Ma le mie lacrime si persero nel sangue. Lo vidi avvicinarsi. In quel momento pensai al suo sorriso. Avrei tanto voluto rivederlo... Sapevo che nessuno mi avrebbe soccorsa, sapevo che sarei morta. Ma non potei trattenermi. Presi fiato ed urlai. -Aiuto!!!- Poi chiusi gli occhi. Aspettando il dolore. Sentii la porta spalancarsi, ma avevo il volto rivolto verso il basso e non vidi chi era entrato. “Un’altra guradia probabilente” pensai “venuta a godersi lo spettacolo” Il mio corpo era contratto, sempre in attesa del colpo. Poi sentii un tonfo al mio fianco. Vidi Zachary accasciarsi a terra. Delle forti braccia mi solevarono da terra. Sentii il suo profumo, lo riconobbi subito. Scoppiai a piangere, ma le mie erano lacrime di gioia. Mi strinse a sè. -Shhh, tranquilla. Ora ti porto in infermeria. È tutto finito. Sei al sicuro ora. Non ti lascerò morire. Guarirai.- disse. Lo sentii procedere lentamente nel lungo corridoio, pieno del mio sangue, per evitarmi dolorose scosse. -Padrone...- tentai di dire, ma non avevo più voce e la mia bocca era piena di sangue. -Shhh!- fece lui –Sei debole, resta in silenzio e stai ferma soprattutto! E poi ti prego, non chiamarmi padrone. Non c’è bisogno di queste formalità. Il mio nome è Alexander. Tu come ti chiami?- chiese. -Eleanor- dissi, con un filo di voce. -Che stupido! Prima ti dico di restare in silenzio e poi ti riempio di domande! Ora riposa.- A quel punto il dolore e la stanchezza ebbero la meglio e persi i sensi, sprofondando in uno stato molto più simile ad uno svenimento che ad un sonno profondo. Non mi chiesi perchè mi aveva salvata, non mi chiesi perchè non era disgustato da me. Non mi importava conoscere i suoi perchè. Non in quel momento. Mi bastava il mio. Non mi importava perchè ero tra le sue braccia. Tra le braccia di Alexander.
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