Capitolo 3

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petite88
view post Posted on 19/1/2008, 19:25





3



L'inizio della serata fu tutt'altro che promettente. si leggeva sulla spilla portata da Monica Vespucci. Avrei dovuto capire subito quale tipo di festa aveva organizzato.
Purtroppo, in certi giorni, sono un po' lenta di comprendonio.
Truccata perfettamente, coi capelli corti dal taglio perfetto, Monica aveva una cupa abbronzatura artificiale che spiccava in contrasto con la camicetta di seta bianca dal colletto alto e largo. Io, invece, indossavo una camicetta cremisi, jeans neri e stivali al ginocchio. I miei capelli ondulati, lunghi fino alle spalle, sono castano scuro, come gli occhi, ed evidenziano il pallore estremo della pelle: tenebra latina versus candore teutonico. Un ex boyfriend, molto ex, una volta mi aveva descritta come una bambolina
di porcellana. Voleva essere un complimento, ma non lo avevo preso come tale. Se non esco spesso con gli uomini, ho le mie buone ragioni.
Il coltello nella guaina assicurata all'avambraccio destro e le cicatrici al braccio sinistro erano nascosti dalle lunghe maniche della camicetta cremisi.
La mia pistola era rimasta in auto, nel vano portaoggetti chiuso a chiave: non prevedevo che la festa degenerasse.
«Mi spiace tanto di avere organizzato tutto all'ultimo minuto, Catherine», esclamò Monica. «Ecco perché siamo soltanto noi tre: tutte le altre erano già impegnate.»
«Incredibile!» commentai. «Già impegnate il venerdì sera! Che razza di gente!»
Monica mi fissò, incerta se prenderla come una battuta, mentre Catherine mi lanciava un'occhiataccia. Rivolsi a entrambe il mio sorriso più angelico e Monica sorrise a sua volta, ma Catherine non si lasciò ingannare.
A passo di danza, Monica s'incamminò lungo il marciapiede, felice come una scimmia ubriaca, anche se a cena aveva bevuto soltanto un paio di bicchieri: brutto segno.
«Cerca di essere gentile», sussurrò Catherine.
«Perché? Cos'ho detto?»
«Anita!» esclamò Catherine, nello stesso tono che usava mio padre quando mi rimproverava per essere rientrata tardi a casa.
Sospirai. «Che bella seratina che ci aspetta...»
«Invece voglio che sia davvero bella!» Catherine levò le braccia al cielo.
Portava ancora il tailleur che aveva indossato durante la giornata, ormai sgualcito, e il vento agitava la sua lunga chioma ramata. Forse la sua bellezza nasce proprio da quei capelli così lunghi, o forse sarebbe ancora più bella se se li tagliasse, mettendo in risalto il viso... Non so, non sono mai riuscita a decidere. «Se proprio devo rinunciare a una delle mie poche serate libere, allora voglio divertirmi... immensamente!»
Aveva pronunciato quell'ultima parola in tono quasi rabbioso.
La guardai. «Non sarai mica decisa a prenderti una sbronza storica, vero?»
Con aria compiaciuta, Catherine ammise: «Può darsi...» Sapeva benissimo che disapprovo l'ubriachezza o, meglio, che non la capisco. Non mi piace perdere l'autocontrollo: se proprio devo lasciarmi andare, voglio decidere sino a che punto farlo.
Avevamo lasciato la mia auto a tre isolati di distanza, in un parcheggio protetto da un recinto in ferro battuto: lo spazio per parcheggiare non abbondava, lì, dalle parti del fiume. Le strade strette e lastricate erano state costruite pensando ai cavalli, non alle automobili. Mentre eravamo a cena, era scoppiato un temporale estivo che ormai si era placato. Il selciato adesso era umido e nel cielo le prime stelle luccicavano, simili a diamanti intrappolati nel velluto.
«Ehi, voi due!» gridò Monica. «Sbrigatevi, pigrone!»
Catherine si girò a guardarmi e sorrise; poi, all'improvviso, si mise a rincorrere Monica.
«Cristo santo...» mormorai. Forse, se avessi bevuto a cena, anch'io avrei cominciato a correre. Ma ne dubitavo.
«Non fare la musona!» mi gridò Catherine.
La musona? pensai, affrettandomi. Quando le raggiunsi, Monica e Catherine, appoggiate l'una all'altra, ridevano. Chissà perché, non ne fui sorpresa: forse ridevano di me.
«Sai cosa c'è dietro l'angolo?» mi sussurrò Monica non appena si fu calmata, cercando - senza riuscirci affatto - di assumere un tono lugubre e minaccioso.
In effetti lo sapevo, anche perché a quattro isolati da lì era stato liquidato l'ultimo vampiro. Il Distretto: così chiamavano i vampiri quel quartiere, mentre, per gli umani, era Riverfront. Per i meno raffinati, invece, era semplicemente la Zona del Sangue. «C'è il Guilty Pleasures», risposi.
«Oh... Hai rovinato la sorpresa!»
«Cos'è il Guilty Pleasures?» domandò Catherine.
«Oh, be'! Allora la sorpresa non è rovinata, dopotutto!» ridacchiò Monica, pendendo a braccetto Catherine. «Ti piacerà un sacco. Te lo prometto.»
Forse il club sarebbe piaciuto a Catherine. A me, no di certo. Seguii le due amiche dietro l'angolo. L'insegna al neon, scarlatta, riproduceva un fluire di sangue arterioso: un simbolismo fin troppo evidente.
In cima a tre larghi gradini, davanti alla porta d'ingresso, spalancata, stava un vampiro dai capelli neri e corti e dagli occhi piccoli e slavati. I muscoli possenti delle spalle rischiavano di far esplodere l'aderente T-shirt nera che indossava. Non potei trattenermi dal pensare che fare body-building da morti era davvero un po' eccessivo.
Dalla soglia si udiva quel denso mormorio di risate, voci e musica caratteristico delle persone decise a divertirsi e ammassate in uno spazio ristretto.
Il vampiro all'entrata era assolutamente immobile, tuttavia in lui si percepiva una sorta di movimento... di vitalità, addirittura, se mi si passa il termine. Non poteva essere morto da più di vent'anni: nell'oscurità appariva quasi umano persino a me. Il colorito sano, quasi roseo, rivelava che, per quella sera, si era già nutrito: era quello l'effetto di un pasto di sangue fresco.
«Ma senti qui che muscoli!» commentò Monica, tastandogli un braccio.
Con un lampeggiare di zanne, il vampiro sorrise. Catherine ansimò, e lui allargò il sorriso.
«Buzz è un vecchio amico. Vero, Buzz?»
Buzz il vampiro? Impossibile!
Invece lui annuì. «Entra pure, Monica. Il tuo tavolo ti aspetta.»
Tavolo? Che razza di conoscenze ha, Monica? Il Guilty Pleasures era uno dei locali più esclusivi del Distretto e non accettava prenotazioni.
Accanto all'entrata, un cartello avvertiva: CON CROCI, CROCIFISSI O ALTRI OGGETTI E/O SIMBOLI SACRI. Varcai la soglia senza esitare: non avevo nessuna intenzione di rinunciare al mio crocifisso.
Una voce profonda, melodiosa e fluttuante ci avvolse. «Anita... Sei stata gentile a venire...»
Si trattava della voce di Jean-Claude, il proprietario del club. Non era un semplice vampiro, bensì un Master, e ne aveva l'aspetto più consono: i morbidi capelli ricci cadevano sull'alto colletto di pizzo bianco di una camicia di foggia antiquata.
La portava aperta, lasciando intravedere il magro petto nudo sotto i bordi di pizzo e i polsini, anch'essi di pizzo, cadevano come spuma sulle dita lunghe e pallide. Sfido qualsiasi uomo a indossare un indumento del genere senza sembrare ridicolo. A quel vampiro, invece, dava un'aria indubitabilmente virile.
«Voi due vi conoscete?» Monica parve sorpresa.
«Oh, sì», rispose Jean-Claude. «Miss Blake e io ci siamo già incontrati...»
«... all'epoca in cui collaboravo alle indagini su certi casi accaduti a Riverfront», conclusi.
«Anita è una stimata consulente della polizia, esperta in vampiri», commentò Jean-Claude, pronunciando la parola «esperta» in un tono morbido e sensuale che la rese vagamente oscena.
Mentre Monica ridacchiava, Catherine fissò Jean-Claude a occhi sgranati.
Quando le toccai un braccio, si riscosse come destandosi da un sogno.
Non mi presi la briga di sussurrare, perché sapevo che lui mi avrebbe udita comunque. «Accetta un consiglio prezioso per la tua incolumità: mai guardare negli occhi un vampiro.»
In silenzio, Catherine annuì. Per la prima volta, il suo viso lasciò trapelare un'ombra di paura.
«Non farei mai del male a una donna così giovane e bella.» Jean-Claude le prese una mano per portarsela al viso e sfiorarla con le labbra, facendo arrossire Catherine, poi baciò la mano anche a Monica. Infine guardò me e rise. «Non preoccuparti, mia piccola Risvegliante: non ti toccherò. Sarebbe sleale.»
Si mosse verso di me, però, anziché guardarlo negli occhi, fissai il suo petto, segnato dalla cicatrice di un'ustione a forma di croce, seminascosta dal pizzo: da quanti decenni qualcuno non gli aveva premuto un crocifisso sulle carni?
«Sarebbe sleale come il crocifisso che nascondi», aggiunse Jean-Claude.
Potevo protestare? In un certo senso, aveva ragione.
È un peccato che non sia semplicemente la forma della croce a ferire i vampiri: in tal caso, Jean-Claude si sarebbe trovato nella merda fino al collo.
Purtroppo il crocifisso dev'essere benedetto, nonché rafforzato dalla fede.
Non si può immaginare uno spettacolo più ridicolmente penoso di un ateo che brandisce una croce contro un vampiro.
«Anita... Cosa stai pensando?» sussurrò poi.
Il suo alito mi sfiorò la pelle come una lieve brezza e la sua voce, così maledettamente suadente, quasi mi spinse ad alzare gli occhi per scoprire con quale espressione aveva pronunciato quelle parole. La mia parziale immunità al suo potere lo intrigava; inoltre trovava divertente il fatto che, sul braccio, io avessi la cicatrice di un'ustione, a forma di croce.
A ogni nostro incontro, faceva del suo meglio per ipnotizzarmi e io facevo del mio meglio per eluderlo. Finora avevo sempre vinto io.
«Prima d'ora non ti è mai dispiaciuto che portassi il crocifisso.»
«Perché lavoravi con la polizia. Adesso, invece, non è così.»
Continuai a fissare il petto di Jean-Claude, chiedendomi se il pizzo fosse davvero morbido come sembrava: probabilmente no.
«Sei così poco sicura dei tuoi poteri, piccola Risvegliante? Credi forse che la tua capacità di resistermi dipenda interamente dal pezzo d'argento che porti al collo?»
Non lo credevo affatto, però sapevo che la croce era utile. Jean-Claude, per sua stessa ammissione, aveva duecentocinque anni, e un vampiro, in due secoli, acquista molto potere. In altre parole, stava insinuando che fossi una vigliacca. Ebbene non era così.
Quando sollevai le mani per slacciare la catenella, lui si scostò e si girò.
Lasciai che l'argento mi scivolasse nelle mani. Una tizia bionda – un'umana - mi fu subito accanto per consegnarmi uno scontrino e ritirare la croce.
Però... Abbiamo pure la guardarobiera degli oggetti sacri... pensai.
Improvvisamente privata del crocifisso, mi sentii nuda: non lo toglievo mai, neanche a letto o sotto la doccia.
Di nuovo, Jean-Claude mi si avvicinò. «Stasera non resisterai allo spettacolo, Anita: qualcuno ti affascinerà.»
«No», risposi. È difficile mostrarsi duri e risoluti se non si può fare altro che fissare il petto dell'avversario. Ma guardarlo negli occhi è assolutamente da escludere, se l'avversario è un vampiro.
La risata di Jean-Claude mi accarezzò come una pelliccia: calda, ma con un lieve sentore di morte.
Monica mi prese per un braccio. «Ti piacerà: te lo prometto.»
«Sì», insistette Jean-Claude. «Sarà una notte che non dimenticherai mai.»
«È una minaccia?»
Di nuovo, lui rispose con la sua risata sensuale e inquietante. «Questo è un luogo di piacere, Anita, non di violenza.»
«Andiamo!» Monica mi tirò per il braccio. «Lo spettacolo sta per cominciare!»
«Lo spettacolo?» chiese Catherine.
Non potei fare a meno di sorridere. «Benvenuta nell'unico strip-club di vampiri che esista al mondo, Catherine.»
«Stai scherzando?»
«A te l'onore della scoperta...» Non so perché, mi girai verso la porta.
Per un attimo, Jean-Claude rimase perfettamente immobile, come se non
fosse neppure lì. Poi d'improvviso si mosse, portando una mano pallida alle labbra per mandarmi un bacio. Il divertimento era cominciato.
 
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illary99
view post Posted on 27/2/2013, 12:33




potete mettere breaking dawn x favore!!!!???' :huh: :(
 
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