Capitolo 42

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 23:03





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Seduto sul trono scolpito, Jean-Claude mi sorrise e allungò una mano dalle lunghe dita. «Avvicinati...»
Indossavo un lungo abito bianco adorno di pizzo, anche se non avevo mai neppure fantasticato di vestirmi in quel modo. Alzai lo sguardo su Jean-Claude: era stato lui a sceglierlo, non io. La paura mi serrò la gola.
«Questo è il mio sogno», dichiarai.
Il vampiro protese entrambe le mani. «Avvicinati...»
Con l'abito che ondeggiava e strisciava sulla pietra, producendo un fruscio continuo che mi snervava, avanzai, e quando fui di fronte a Jean-Claude, sollevai lentamente le mie mani verso le sue, anche se non avrei dovuto. Era una cattiva idea, eppure non riuscivo a fermarmi.
Il vampiro mi prese le mani, attese che m'inginocchiassi, quindi mi obbligò ad afferrare i pizzi che ricadevano sul petto della sua camicia per aprirla, rivelando il torace liscio e pallido, coi peli che scendevano a infoltirsi sullo stomaco piatto, incredibilmente neri in contrasto col pallore della pelle. La cicatrice dell'ustione, solida e lustra, guastava la perfezione delbusto.
Con una mano, Jean-Claude mi prese per il mento, sollevandomi la testa in modo che lo guardassi in viso. Con l'altra, si toccò il petto sotto il capezzolo destro, aprendo un'incisione dalla quale il sangue colò in un luccicante rivolo cremisi.
Cercai di allontanarmi, ma le sue dita mi serrarono la mascella come una morsa. «No!» gridai, colpendolo con la mano sinistra. Quando Jean-Claude mi afferrò il polso, bloccandomi, appoggiai la mano destra al pavimento e spinsi con le ginocchia, tuttavia la sua doppia stretta alla mascella e al polso m'inchiodava come una farfalla trafitta da uno spillo: potevo muovermi, ma non fuggire. Mi lasciai cadere, cercando di obbligarlo a strangolarmi o a permettermi di sedere, e lui accompagnò il mio movimento.
Allora, con tutte le forze e con entrambi i piedi, gli tirai un calcio a un ginocchio. Dato che i vampiri non sono immuni al dolore, Jean-Claude mi lasciò tanto bruscamente che caddi all'indietro. Subito dopo, però, mi afferrò per i polsi, mi costrinse a inginocchiarmi, m'immobilizzò, stringendomi fra le sue gambe, e sedette sul trono. Così mi trovai come incatenata ai polsi e al busto dalle sue mani e dalle sue ginocchia.
Una risata sonora e musicale si diffuse nella stanza. In disparte, Nikolaos ci osservava. A poco a poco, la sua risata divenne sempre più assordante, simile a una musica folle.
Senza che potessi impedirlo, Jean-Claude cambiò la presa, stringendomi entrambi i polsi con una mano sola, in modo da liberare l'altra mano per accarezzarmi una guancia e il collo. Poi mi afferrò la nuca e spinse.
«Ti prego, Jean-Claude... Non farlo!»
Con le dita che parevano saldate alla mia nuca, Jean-Claude continuò a spingere, nonostante la mia resistenza, accostando sempre di più il mio viso alla ferita sul suo petto. «No!»
La risata di Nikolaos si sciolse in una frase: «Va' oltre la superficie, Risvegliante, e scoprirai che, sotto sotto, siamo tutti molto simili».
«Jean-Claude!» strillai.
Cupa, morbida come velluto, la voce del vampiro s'insinuò nella mia mente. «Sangue del mio sangue, carne della mia carne, due menti in un corpo solo, due anime saldate in una...» In un momento abbagliante vidi, percepii con tutta me stessa, l'eternità insieme con Jean-Claude, il suo tocco... in eterno, le sue labbra, il suo sangue...
Sbattei le palpebre, scoprendo che le mie labbra erano quasi a contatto con la ferita sul suo petto: avrei potuto protendere la lingua a leccarla. «Jean-Claude... No, Jean-Claude!» gridai nuovamente. «Iddio, aiutami!»
L'oscurità, qualcuno che mi afferrava una spalla... Senza riflettere, guidata dall'istinto, sfoderai la pistola dalla fondina assicurata alla testiera del letto e cercai di girarmi per puntarla.
Una mano mi bloccò il braccio sotto il cuscino, con l'arma puntata al muro, e un corpo mi schiacciò. «Anita... Sono Edward... Guardami!»
Di nuovo, sbattei le palpebre: era davvero Edward. Mi bloccava le braccia e aveva la respirazione accelerata.
Fissai la pistola che impugnavo, poi guardai di nuovo Edward.
«Tutto bene?»
Annuii.
«Di' qualcosa, Anita.»
«Ho avuto un incubo.»
Lui scosse la testa. «Risparmiami le stronzate.» Lentamente mi lasciò.
Rinfoderai la pistola.
«Chi è Jean-Claude?»
«Perché?»
«Gridavi il suo nome.»
Mi passai una mano sulla fronte, scoprendo che era umida di sudore. Le lenzuola e gli indumenti in cui avevo dormito ne erano fradici. Quegli incubi stavano cominciando a snervarmi. «Che ore sono?» La stanza mi sembrò troppo buia, come se il sole fosse già calato, perciò sentii uno spasmo allo stomaco: se era sera, Catherine era condannata.
«Niente paura: sono soltanto nuvole. Mancano circa quattro ore al crepuscolo.»
Sospirai profondamente, poi, vacillando, andai in bagno a lavarmi il viso e il collo con l'acqua fredda. Nello specchio, il mio viso apparve spettralmente pallido. Il sogno era stato indotto da Jean-Claude oppure da Nikolaos?
Se era stata la Master, significava forse che già mi controllava? Non ero in grado di rispondere.
Quando tornai in camera, Edward, seduto sulla poltrona bianca, mi osservò come se fossi un insetto appartenente a una specie interessante, mai vista prima.
Ignorandolo, presi il telefono e composi il numero dello studio di Catherine.
«Salve, Betty. Sono Anita Blake. C'è Catherine?»
«Salve, Miss Blake. Credevo sapesse che Ms. Maison sarà fuori città dal 13 al 20 per una deposizione...»
In effetti, Catherine mi aveva informato di quell'assenza, anche se l'avevo dimenticata. Finalmente un po' di fortuna: era ora! «Ma certo, Betty. Lo sapevo. Grazie molte. Non può immaginare quanto le sia grata!»
«Lieta di esserle stata d'aiuto», replicò lei. Poi, come se la notizia potesse rincuorarmi, aggiunse: «Ms. Maison ha comunque fissato al 23 la prima prova per gli abiti delle damigelle d'onore».
«Non lo dimenticherò», le assicurai, per nulla rincuorata. «Ci vediamo.»
«Buona giornata.»
Riagganciai e composi il numero di Irving Griswold, il quale, oltre a essere un cronista del Saint Louis Post-Dispatch, è anche un licantropo. Al terzo squillo, Irving rispose.
«Sono Anita Blake.»
«Ehi... Salve... Che c'è?» chiese subito lui, in tono sospettoso, come se non gli telefonassi mai, se non quando mi occorreva qualcosa.
«Conosci qualche ratto mannaro?»
Irving rimase in silenzio un po' troppo a lungo, poi mi chiese di rimando:
«Perché vuoi saperlo?»
«Non posso dirtelo.»
«Insomma, vuoi il mio aiuto, però io non ne ricaverò nessuna storia...»
Sospirai. «Più o meno...»
«Allora perché dovrei aiutarti?»
«Non fare il difficile, Irving. Ti ho procurato un sacco di scoop. Grazie a una mia informazione, la tua firma è apparsa per la prima volta in un articolo da prima pagina, quindi non rompere.»
«Piuttosto scorbutica, oggi, eh?»
«Insomma, conosci qualche ratto mannaro, oppure no?»
«Lo conosco.»
«Devo far avere un messaggio al loro capo.»
Il fischio di Irving suonò molto acuto. «Una richiestina da nulla, eh?
Forse riuscirò a procurarti un incontro col ratto mannaro che conosco, ma certo non...»
«Fa' avere al capo dei ratti un mio messaggio... Hai una matita sottomano?»
«Sempre.»
«Allora scrivi: 'I vampiri non mi hanno soggiogato, e io non ho fatto quello che volevano'.»
Dopo avermi riletto il messaggio, Irving commentò: «Dunque hai a che fare coi vampiri e coi ratti mannari, e non mi dai nessuna esclusiva...»
«Nessuno avrà l'esclusiva per questa faccenda, Irving: è un casino troppo grosso.»
Lui tacque per qualche istante poi borbottò: «Okay... Cercherò di organizzare un incontro. Dovrei sapere qualcosa stanotte...»
«Grazie, Irving.»
«Sta' attenta, Blake. Mi spiacerebbe molto perdere la mia miglior fonte di articoli da prima pagina.»
«Spiacerebbe parecchio anche a me.»
Avevo appena riappeso quando il telefono squillò, e subito, senza pensare, sollevai il ricevitore. Il telefono squilla, si risponde: è un'abitudine che si acquisisce nel corso degli anni. «Anita... Sono Bert...»
«Salve, Bert.» Sospirai, cercando di non farmi sentire.
«So che stai lavorando al caso dei vampiri, ma ho qualcosa che potrebbe interessarti...»
«Ho già anche troppo da fare, Bert. Qualunque altra faccenda potrebbe impedirmi di arrivare a domattina.»
Chiedere come stavo, come me la stavo cavando? Nossignore. Non lui, non Bert, il mio capo. «Oggi ha chiamato Thomas Jensen.»
Raddrizzai la schiena. «Davvero?»
«Già.»
«Ci permetterà di agire?»
«Lo permetterà a te. Ha chiesto specificamente di te. Ho cercato di convincerlo a incontrare qualcun altro, però ha rifiutato. E dovrà essere stanotte, perché altrimenti ha paura di non farcela.»
«Dannazione...» mormorai.
«Devo richiamarlo per disdire, oppure mi dici a che ora puoi incontrarlo?»
Perché deve succedere tutto nello stesso momento? «Digli che possiamo incontrarci stasera, dopo il tramonto.»
«Sapevo che non mi avresti deluso, ragazza mia!»
«Non sono la tua ragazza, Bert. Quanto ti paga?»
«Trentamila dollari. L'anticipo di cinquemila è già arrivato con un corriere speciale.»
«Sei un uomo malvagio, Bert.»
«Già, e questo è molto remunerativo. Grazie.» Riattaccò senza salutare.
«Hai appena accettato l'incarico di resuscitare un morto... per stanotte?» chiese Edward, scrutandomi.
«In realtà si tratta di restituire una defunta al riposo eterno. Comunque...
Sì, è così.»
«E resuscitare i morti la prosciuga?»
«Che cosa?»
«L'energia.» Edward si strinse nelle spalle. «O la forza, o come preferisci chiamarla.»
«Talvolta.»
«E questo lavoro ti richiederà un dispendio di energia?»
Sorrisi. «Sì.»
Lui scosse la testa. «Non puoi permetterti di essere debole, Anita.»
«Non lo sarò.» Sospirai profondamente, cercando un modo per spiegare la situazione. «Thomas Jensen ha perso la figlia vent'anni fa, e sette anni or sono l'ha fatta resuscitare, come zombie.»
«E allora?»
«La ragazza si era suicidata, e nessuno, all'epoca, aveva capito perché.
In seguito si è scoperto che lo aveva fatto perché Mr. Jensen aveva abusato sessualmente di lei.»
«E poi lui ha voluto resuscitarla...» Edward fece una smorfia. «Non vorrai dire...»
Agitai le mani, come per cancellare quell'immagine. «No, no! Non si tratta di quello. Il rimorso ha spinto Mr. Jensen a farla resuscitare in modo da poterle confessare quanto fosse dispiaciuto.»
«E...?»
«Lei ha rifiutato di perdonarlo.»
«Non capisco...»
«Il padre l'aveva fatta resuscitare per porre rimedio alla propria colpa, ma la ragazza era morta odiandolo e temendolo, perciò, una volta resuscitata come zombie, si è rifiutata di perdonarlo. A sua volta, lui non ha voluto permetterle di ritornare alla morte e, benché la sua mente e il suo corpo si deteriorassero, ha continuato a tenerla con sé, come per infliggerle una sorta di punizione.»
«Cristo...»
«Già...» Andai a prelevare dall'armadio la borsa da palestra in cui tenevo i miei strumenti di lavoro, proprio come Edward teneva le armi nella sua.
Talvolta la usavo anche per trasportare l'attrezzatura per eliminare i vampiri.
Sul fondo, notai la bustina di fiammiferi che Zachary mi aveva lasciato: la presi e la infilai in una tasca dei pantaloni, senza che Edward lo notasse, almeno credo. «E adesso, finalmente, Jensen ha acconsentito a seppellire di nuovo la figlia, purché sia io a farlo. E non posso certo rifiutare. Jensen è una sorta di leggenda tra i risveglianti. La sua vicenda è quanto di più simile esista a una storia di fantasmi.»
«Ma perché proprio stanotte? Ha aspettato sette anni, non può aspettare qualche altro giorno?»
«Ha insistito», spiegai, continuando a mettere gli strumenti nella borsa.
«Ha paura che prolungare l'attesa possa indurlo a ritornare sulla sua decisione, senza contare che, tra qualche giorno, io potrei non essere più viva, e lui, in tal caso, potrebbe rifiutare l'intervento di un altro risvegliante.»
«Be', non sarebbe un tuo problema. Non sei stata tu a resuscitare la zombie.»
«No. Io, però, sono anzitutto una risvegliante. Per me, eliminare i vampiri è... un'attività collaterale. Ed essere una risvegliante non è soltanto un lavoro.»
«Ah... Be', anche se non capisco perché, mi rendo conto che devi farlo.»
«Grazie.»
«Sei tu che dirigi lo spettacolo», sorrise Edward. «Ti spiace se ti accompagno per assicurarmi che nessuno ti faccia fuori, mentre sei impegnata in questa faccenda?»
Gli lanciai un'occhiata. «Hai mai visto resuscitare uno zombie?»
«No.»
«Non sei schizzinoso, vero?» chiesi, sorridendo.
Mentre Edward mi fissava, i suoi occhi azzurri divennero improvvisamente gelidi e il suo viso perse qualsiasi espressione, tranne un gelo spaventoso.
Quel vuoto mi rammentò lo sguardo con cui, attraverso le sbarre di una gabbia, mi aveva scrutato una volta un leopardo, lasciandomi intuire emozioni incomprensibili, pensieri alieni come quelli di un abitante di un altro pianeta. Era lo sguardo di un essere che avrebbe potuto uccidermi con abilità ed efficienza perché tale era la sua natura, oppure per fame o per difendersi, se l'avessi provocato o minacciato o irritato.
Mi occorse un certo sforzo per mantenere la calma. «Messaggio ricevuto, Edward. Finisci il numero del perfetto assassino, e andiamo.»
Il gelo negli occhi di Edward non si sciolse all'istante, bensì a poco a poco, come l'alba che si diffonde nel cielo.
Mi augurai che non mi guardasse mai sul serio a quel modo, altrimenti uno di noi due sarebbe morto, e molto probabilmente si sarebbe trattato di me.
 
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