XIX Capitolo - Corsa

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petite88
view post Posted on 29/12/2007, 19:54





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Corsa



Riuscimmo a non perdere il volo per una manciata di secondi e a quel punto iniziò la tortura vera. L'aereo rollava fermo sulla pista, mentre le hostess, placide, facevano avanti e indietro per il corridoio, tra le file di sedili, e assicuravano i bagagli negli scomparti. Di tanto in tanto i piloti si affacciavano dalla cabina per chiacchierare con loro. Alice mi teneva una mano sulla spalla, cercando di frenare i miei sobbalzi ansiosi.
«È il modo più veloce», precisò sottovoce.
Finalmente l'aereo si allontanò dal gate e la sua accelerazione pigra e regolare non fece che peggiorare la tortura. Speravo di potermi rilassare nel decollo, invece non guadagnai un briciolo di tranquillità.
Prima ancora che ci staccassimo dal suolo, Alice afferrò il telefono appeso al sedile di fronte a sé ignorando lo sguardo di disapprovazione della hostess. Qualcosa, nella mia espressione, convinse l'assistente di volo a non protestare.
Cercai di decifrare ciò che Alice bisbigliava a Jasper.
«Non saprei, lo vedo prendere strade diverse, cambia idea in continuazione... Una serie di omicidi in città, un attacco alle guardie, un'auto scagliata nella piazza principale, tutti gesti che li costringerebbero a uscire allo scoperto... Sa bene che quello è il modo più veloce di scatenare una reazione».
«No, te lo proibisco». La voce di Alice si abbassò fino a diventare quasi inudibile, benché fossi seduta a pochi centimetri da lei. Drizzai le orecchie e mi ostinai ad ascoltare. «Di' a Emmett di no... Be', vai a cercare lui e Rosalie e riportali a casa... Pensaci bene, Jasper. Se vede uno di noi, come pensi che reagirà?».
Annuì. «Appunto. L'unica possibilità è Bella... se c'è una possibilità... Farò di tutto, ma tieni pronto Carlisle, le speranze sono poche».
Poi rise, maliziosa. «Ci ho pensato anch'io... Sì, te lo prometto». Il tono si fece implorante. «Non seguirmi. Te lo prometto, Jasper. In un modo o nell'altro, sfuggirò... Ti amo».
Riappese e si lasciò scivolare sul sedile a occhi chiusi. «Detesto dovergli mentire».
«Raccontami tutto, Alice, te ne prego. Non capisco. Perché hai chiesto a Jasper di fermare Emmett? Perché non possono aiutarci?».
«Per due motivi», sussurrò, senza riaprire gli occhi. «Il primo l'ho spiegato anche a lui. Potremmo cercare di fermare Edward con le nostre forze: se Emmett gli mettesse le mani addosso, avremmo la possibilità di bloccarlo e di convincerlo che sei ancora viva. Ma non possiamo prenderlo alle spalle. Se capisce che vogliamo fermarlo, agirà ancora più alla svelta. Lancerà un'auto contro un muro, o qualcosa del genere, e i Volturi lo prenderanno.
Ovviamente questo è il secondo motivo, di cui non ho parlato a Jasper. Se gli altri ci raggiungessero, e i Volturi uccidessero Edward, sarebbe la guerra. Bella», aprì gli occhi e mi fissò implorante, «se ci fosse qualche possibilità di vincerla... se noi quattro potessimo salvare nostro fratello combattendo per lui, forse sarebbe diverso. Ma non siamo in grado e... Bella, non posso permettermi di perdere Jasper così».
Capii perché cercasse la mia comprensione. Voleva proteggere Jasper, fosse anche a spese nostre e perfino di Edward. La capii e non ci trovai nulla di male.
«Edward non riesce a sentirti?», chiesi. «Non potrebbe scoprire nei tuoi pensieri che sono viva, che il suo gesto è inutile?».
Non che mancasse una giustificazione. Però non riuscivo ancora a credere che avesse reagito in quel modo. Non aveva senso! Ricordavo con dolorosa chiarezza le sue parole quel giorno, sul divano, mentre assistevamo ai suicidi di Romeo e Giulietta. «Non sarei mai riuscito a vivere senza te», aveva detto, come fosse una conclusione ovvia. Ma il suo discorso nella foresta aveva violentemente cancellato tutto il resto.
«Se mi ascoltasse», chiarì Alice. «Che tu ci creda o no, è possibile mentire con il pensiero. Cercherei di fermarlo anche se tu fossi morta. Penserei "è viva, è viva", con tutta l'intensità che posso. E lui lo sa».
Serrai le mascelle in silenzio, frustrata.
«Se fosse possibile agire senza coinvolgerti, Bella, non ti esporrei al pericolo. È un gesto da irresponsabili».
«Non essere stupida. Io sono l'ultima delle tue preoccupazioni». Scossi la testa impaziente. «Spiegami cosa intendevi quando hai detto che detesti mentire a Jasper».
Sorrise mesta. «Gli ho promesso che sarei sfuggita a un loro attacco. Ma non posso esserne sicura. Anzi, non lo sono affatto». Rimase a fissarmi, come per chiedermi di considerare più seriamente il pericolo.
«Chi sono questi Volturi?», chiesi con un sussurro. «Cosa li rende tanto più pericolosi di Emmett, Jasper, Rosalie e te?». Era difficile immaginare qualcosa di più spaventoso.
Fece un respiro profondo e d'un tratto lanciò un'occhiata feroce alle mie spalle. Mi voltai in tempo per vedere l'occupante del posto sul corridoio voltarsi, fingendo di non avere origliato. Aveva l'aria di un uomo d'affari, vestito di scuro e con un computer portatile sulle ginocchia munito di cavo d'alimentazione. Dopo che lo guardai irritata, accese il portatile e molto opportunamente calzò un paio di cuffie.
Mi avvicinai ad Alice. Mi parlò a un centimetro dall'orecchio.
«Non credevo che li conoscessi», disse, «e che sapessi cosa significa, quando ho detto che Edward era partito per l'Italia. Pensavo di dovertelo spiegare. È stato lui a parlartene?».
«Sì, ma mi ha detto soltanto che sono antichi e potenti, una specie di famiglia reale. Che solo chi desidera morire...», sussurrai, «si mette contro di loro». Fu difficile pronunciare quelle parole.
«Devi aver chiara una cosa», disse mitigando la tensione. «Noi Cullen siamo unici per altri motivi, oltre a quelli che conosci. È... innaturale che tanti di noi vivano assieme e in pace, come la famiglia di Tanya, a nord. Secondo Carlisle, l'astinenza facilita la civilizzazione e la formazione di legami basati sull'affetto anziché sulla sopravvivenza o sulla convenienza. Persino il clan di James era più numeroso del normale, però hai visto anche tu quanto sia stato facile per Laurent staccarsene. Di norma, siamo gente che viaggia da sola o in coppia. Per quel che ne so, la famiglia di Carlisle è la più numerosa in circolazione, con una sola eccezione: i Volturi. All'inizio erano soltanto in tre: Aro, Caius e Marcus».
«Li ho visti», mormorai, «nel quadro dello studio di Carlisle».
Alice annuì. «Nel corso degli anni, a loro si sono unite due femmine e la famiglia si è allargata a cinque membri. Non ne sono sicura, ma credo che nel loro caso sia l'età a facilitare la convivenza. Hanno più di tremila anni. O forse sono i loro poteri a renderli più tolleranti. Come me ed Edward, Aro e Marcus hanno delle... doti».
Proseguì prima che potessi chiedere spiegazioni. «Ma forse il loro legame si fonda sulla sete di potere. L'immagine della famiglia reale calza a pennello».
«Ma se sono soltanto in cinque...».
«Cinque sono i membri della famiglia», precisò. «Poi c'è il corpo di guardia».
Ripresi fiato. «Che cosa... seria».
«Lo è», confermò Alice. «L'ultima volta che ne abbiamo sentito parlare, la guardia era formata da nove elementi, più altri... di passaggio. Molti hanno poteri speciali, qualità al cui confronto le mie sono giochetti di prestigio da dilettanti. È in base a queste caratteristiche, fisiche o di altro genere, che i Volturi li scelgono».
Stavo per interromperla e fare una domanda, ma decisi di tacere. Non volevo sapere quanto basse fossero le nostre probabilità.
Annuì di nuovo, come se avesse capito esattamente ciò che pensavo. «Non scendono in campo facilmente. Nessuno è tanto stupido da andare a stuzzicarli. Se ne restano nella loro città, da cui escono soltanto se il dovere li chiama».
«Quale dovere?», domandai.
«Edward non ti ha spiegato nulla?».
«No», risposi con espressione vuota.
Alice lanciò un'altra occhiata alle mie spalle, verso l'uomo d'affari, e avvicinò le labbra gelide al mio orecchio.
«C'è una ragione per cui li consideriamo la nostra famiglia reale... la classe dirigente. Nel corso dei millenni hanno assunto il ruolo di controllori delle regole, il che consiste, a conti fatti, nel punire i trasgressori. E svolgono il proprio compito con rigore».
Strabuzzai gli occhi, sorpresa. «Ci sono delle regole?», chiesi a voce troppo alta.
«Sssh!».
«Perché nessuno me ne ha mai parlato prima?», bisbigliai arrabbiata. «In fondo volevo essere un... una di voi! Non pensavate che qualcuno avrebbe dovuto spiegarmi queste regole?».
Ridacchiò. «Non è così complicato, Bella. C'è soltanto una limitazione fondamentale... se ci pensi bene, la scoprirai da te».
Meditai sulle sue parole. «No, proprio non ne ho idea».
Scosse la testa, delusa. «Forse è troppo ovvio. Dobbiamo mantenere segreta la nostra esistenza».
«Oh», mormorai. In effetti era ovvio.
«È una regola sensata e la maggior parte di noi c'è l'ha ben presente», proseguì. «Ma nei secoli, capita che qualcuno si annoi. O impazzisca. Cose del genere. In quel caso, i Volturi intervengono prima che il ribelle comprometta loro, o altri».
«Quindi, Edward...».
«Vuole infrangere le regole nella loro città, quella che in segreto dominano da tremila anni, dall'epoca etrusca. Sono talmente protettivi che la caccia non è consentita all'interno delle mura. Probabilmente Volterra è la città più protetta del mondo, perlomeno dagli attacchi dei vampiri».
«Hai detto che non ne escono mai. Come fanno a mangiare?».
«Non escono. Attirano il cibo dall'esterno, anche da molto lontano. È una buona occupazione per le guardie, se non sono impegnate ad annientare i sovversivi. O a proteggere Volterra dalle intrusioni...».
«Di qualcuno come Edward», conclusi. Pronunciare il suo nome era diventato incredibilmente facile. Non sapevo bene cosa fosse cambiato. Forse dipendeva dal fatto che non avevo intenzione di sopravvivere a lungo senza di lui. Anzi, forse era troppo tardi e non ci saremmo più rivisti. Era un sollievo sapere che in un modo o nell'altro avrei trovato una soluzione.
«Dubito che si siano mai trovati in una situazione come questa», mormorò dispiaciuta. «Non capita spesso che un vampiro voglia suicidarsi».
Mi lasciai scappare un suono smorzato e Alice capì che si trattava di un gemito di dolore. Con il braccio snello e forte mi cinse le spalle.
«Faremo il possibile, Bella. Non è ancora finita».
«Non ancora». Mi lasciai consolare, ma sapevo che lei stessa era tutt'altro che ottimista. «E se combiniamo qualche pasticcio i Volturi prenderanno anche noi».
Alice si irrigidì. «Lo dici come se fosse una bella cosa».
Scrollai le spalle.
«Piantala, Bella, oppure a New York invertiamo la marcia e torniamo a Forks».
«Cosa?».
«Lo sai. Se arriviamo troppo tardi, mi farò in quattro per riportarti da Charlie e non tollererò altri problemi. Chiaro?».
«Certo, Alice».
Si allontanò quel poco che bastava a guardarmi in cagnesco. «Niente guai».
«Parola di scout», mormorai.
Alzò gli occhi al cielo.
«Adesso lasciami concentrare. Cercherò di vedere che piani ha».
Senza staccare il braccio dalle mie spalle, posò la testa sullo schienale e chiuse gli occhi. Con la mano libera si coprì la faccia, massaggiandosi una tempia con le dita.
Rimasi a guardarla a lungo, affascinata. A un certo punto si immobilizzò del tutto, come una scultura marmorea. I minuti passavano e, se non avessi saputo la verità, l'avrei creduta addormentata. Non osavo interromperla per chiederle cosa stesse accadendo.
Desideravo tanto avere pensieri più rassicuranti per la testa. Se volevo evitare di strillare, non potevo permettermi di concentrarmi sugli orrori verso i quali stavamo volando né - prospettiva ancora più orrenda - sull'eventualità di un fallimento.
Neanch'io riuscivo a prevedere nulla. Forse, con molta, molta, molta fortuna, sarei riuscita a salvare Edward. Ma non ero tanto stupida da pensare che salvarlo equivalesse a tornare con lui. Non ero né diversa né speciale, rispetto a prima. Non gli avrei fornito nessun altro motivo per desiderarmi ancora. L'avrei visto e perduto un'altra volta...
Lottai contro il dolore. Era il prezzo da pagare per salvargli la vita, e l'avrei pagato.
Proiettarono un film e il mio vicino indossò le cuffie. Di tanto in tanto guardavo le sagome sul piccolo schermo, ma non riuscivo a capire se fosse una storia romantica o dell'orrore.
Dopo un'eternità, l'aereo iniziò la discesa verso New York. Alice era ancora in trance. Allungai una mano, incerta, per toccarla, ma la ritrassi subito. Ci provai un'altra dozzina di volte, prima che l'aereo atterrasse con un impatto brusco.
«Alice», le dissi infine. «Dobbiamo andare».
E le sfiorai un braccio.
Riaprì gli occhi molto lentamente. Scosse la testa per qualche istante.
«Niente di nuovo?», chiesi sottovoce per non farmi sentire dai miei vicini.
«Non proprio», rispose con un bisbiglio quasi incomprensibile. «Si sta avvicinando. Sta decidendo in che modo avanzare la sua richiesta».
Per prendere la coincidenza fummo costrette a correre, ma era meglio di un'attesa forzata. Subito dopo il decollo, Alice chiuse gli occhi e tornò in trance. Restai in attesa, con tutta la pazienza che avevo. Quando scese l'oscurità guardai fuori dall'oblò, ma non c'era che il buio fitto.
Ero lieta di avere alle spalle mesi di esercizio nel controllare i miei pensieri. Anziché indugiare sulla possibilità terrificante che, malgrado le speranze di Alice, decidessi di non sopravvivere, mi concentrai sui problemi minori. Per esempio, cos'avrei detto a Charlie se fossi tornata a casa? Quella fu una questione tanto spinosa da richiedere parecchie ore. E Jacob? Aveva promesso che mi avrebbe aspettata, ma la promessa era ancora valida? Mi sarei ritrovata da sola a Forks, senza nessuno accanto? Forse non avrei voluto sopravvivere, comunque fossero andate le cose.
Alice mi diede uno strattone e mi sembravano passati pochi secondi: non mi ero accorta di aver dormito.
«Bella», sibilò a voce un po' troppo alta nella penombra piena di esseri umani addormentati.
Non ero disorientata, non avevo dormito abbastanza per esserlo. «Che succede?».
Gli occhi di Alice brillavano alla luce fioca di una lampada da lettura accesa nella fila dietro la nostra.
«Niente di brutto». Sorrise orgogliosa. «Va tutto bene. Stanno discutendo, ma hanno deciso di rifiutare la richiesta».
«I Volturi?», bofonchiai assonnata.
«Certo, Bella, su con il morale, riesco a vedere cosa risponderanno».
«Dimmi».
Uno steward si avvicinò a noi in punta di piedi. «Le signore desiderano un cuscino?». Il sussurro con cui ci si rivolse era un rimprovero alla nostra conversazione rumorosa.
«No, grazie», rispose Alice, accendendosi in un sorriso bello e stupefacente. Lo steward se ne andò, con un'espressione sbalordita sul viso.
«Dimmi», bisbigliai.
Accostò la bocca al mio orecchio. «Sono interessati a Edward: pensano di sfruttare i suoi poteri. Gli proporranno di restare con loro».
«E lui?».
«Ancora non lo vedo, ma scommetto che la sua sarà una risposta colorita». Sorrise di nuovo. «Questa è la prima buona notizia, la prima svolta. Sono affascinati, non vogliono affatto distruggerlo - "Uno spreco", così dirà Aro - e ciò potrebbe bastare a fargli inventare una contromossa. Più tempo passa a macchinare, meglio è per noi».
Non era abbastanza per rendermi ottimista e farmi provare lo stesso sollievo che ostentava Alice. C'erano tanti imprevisti che potevano rallentarci. E se non avessi oltrepassato i confini della città dei Volturi, niente avrebbe potuto impedire ad Alice di riportarmi a casa.
«Alice?».
«Cosa?».
«Sono confusa. Come fai ad avere tutto così chiaro, mentre in altre occasioni vedi le cose lontane, o cose che non stanno accadendo?».
Mi guardò torva. Forse aveva capito a cosa mi stavo riferendo.
«Le vedo più chiare perché sono vicine e accadranno tra poco, inoltre mi sto concentrando seriamente. Quelle più lontane arrivano da sé, simili ad apparizioni, deboli possibilità. In più, vedo quelli come me con maggior chiarezza rispetto a voi. Con Edward è ancora più facile, grazie alla sintonia che ci lega».
«A volte vedi anche me», precisai.
Scosse la testa. «Non con questa precisione».
Sospirai. «Mi piacerebbe davvero che non ti fossi sbagliata su di me. All'inizio, quando mi hai vista, prima ancora che ci conoscessimo...».
«Non capisco».
«Mi hai vista diventare una di voi». Scandii appena le parole.
Lei sospirò. «All'epoca era una possibilità».
«All'epoca».
«In verità, Bella...». Una pausa, come se stesse prendendo una decisione. «Sinceramente, penso che stiamo sfiorando il ridicolo. Sto prendendo in considerazione l'idea di trasformarti io stessa».
Restai a guardarla, impietrita dalla sorpresa. La mia mente oppose resistenza immediata alle sue parole. Non potevo permettermi di sperare una cosa del genere, e poi di non vederla avverarsi.
«Ti ho messo paura?», chiese. «Pensavo fosse ciò che desideri».
«Ma certo!», esclamai. «Oh, Alice, fallo ora! Potrei esserti d'aiuto e non d'impaccio. Mordimi!».
Mi fece segno di tacere. Lo steward ci lanciò un'altra occhiataccia. «Cerca di ragionare», sussurrò lei. «Non c'è tempo. Dobbiamo raggiungere Volterra domani. Per qualche giorno saresti in balia del dolore». Fece una smorfia. «E non credo che gli altri passeggeri reagirebbero bene».
Non sapevo che dire. «Se non lo fai ora, cambierai idea».
«No». Si accigliò, triste. «Non credo. Lui andrebbe su tutte le furie, ma a quel punto cos'altro potrebbe fare?».
Il mio cuore batteva forte. «Niente di niente».
Alice soffocò una risata e sospirò. «Hai troppa fiducia in me, Bella. Non so se ne sarei capace. Potrei anche ucciderti, lo sai».
«Sono pronta a rischiare».
«Come essere umano, sei proprio strana».
«Grazie».
«E poi, questa per ora è solo un'idea. Quel che conta è sopravvivere fino a domani»,
«Ben detto». Almeno avevo qualcosa in cui sperare, nel caso ce l'avessimo fatta. Se Alice avesse mantenuto la promessa - senza uccidermi - Edward sarebbe stato libero di correre dietro a tutte le distrazioni che voleva e io l'avrei seguito. Non l'avrei lasciato distrarre. Forse, se fossi diventata forte e bellissima, non ne avrebbe più avuto bisogno.
«Continua a dormire. Ti sveglierò appena ho altre notizie».
«Va bene», borbottai, sicura che ormai non sarei riuscita a chiudere occhio. Alice sollevò le ginocchia, cingendole con le braccia e appoggiandovi il mento. Si concentrava ondeggiando avanti e indietro. Appoggiai la testa al sedile, la guardai e un istante dopo la sentii picchiettare contro l'oblò, illuminato dalla luce fioca del cielo a oriente.
«Che succede?», farfugliai.
«Gli hanno risposto di no», disse piano. Mi accorsi all'istante che il suo entusiasmo era scomparso.
Il panico soffocò le mie parole. «Cos'ha deciso di fare?».
«Sulle prime, è stato molto caotico. Lampi di visioni, perché aveva le idee confuse».
«Idee di che genere?».
«È stato un brutto momento», sussurrò. «Aveva deciso di andare a caccia».
Restò a fissare la mia espressione dubbiosa.
«Dentro la città», precisò. «Ci è andato molto vicino. Ha cambiato idea all'ultimo minuto».
«Non oserà deludere Carlisle», mormorai.
«Probabilmente no».
«Siamo ancora in tempo?». Mentre parlavo, sentii una variazione nella pressione della cabina. L'aereo aveva virato, scendendo di quota.
«Spero di sì... se rispetterà l'ultima decisione».
«Cioè?».
«Semplice. Vuole esporsi al sole in pieno giorno».
Esporsi al sole. Ecco tutto.
Sarebbe bastato. L'immagine di Edward nella radura, luminoso e sfavillante come se la sua pelle fosse ricoperta da un milione di diamanti sfaccettati, era rimasta scolpita nella mia memoria. Nessun essere umano avrebbe mai dimenticato una cosa del genere. I Volturi non potevano concederglielo. Non se volevano restare in incognito nella propria città.
Osservai la luce leggera, grigio chiaro, che filtrava dall'oblò scoperto. «Arriveremo in ritardo», sussurrai, con la gola chiusa dal panico.
Alice scosse la testa. «Al momento sta assecondando il proprio lato melodrammatico. Vuole farlo di fronte a un pubblico più numeroso possibile, perciò ha scelto la piazza principale, sotto il campanile. Là, le mura sono alte. Aspetterà di avere il sole esattamente sulla testa».
«Perciò abbiamo tempo fino a mezzogiorno?».
«Se siamo fortunate, sì. Speriamo che non cambi idea».
Il pilota parlò all'interfono e annunciò, prima in francese e poi in inglese, l'atterraggio imminente. Il segnale delle cinture di sicurezza suonò e si accese.
«Quanto dista Firenze da Volterra?».
«Dipende dalla velocità del mezzo... Bella?».
«Dimmi».
Mi guardò seria. «Ti sentiresti molto a disagio di fronte alla prospettiva di un furto d'auto?».

A pochi passi da me inchiodò una Porsche gialla, con la scritta TURBO in corsivo svolazzante e argentato sulla coda. Tutti i presenti, me esclusa, si voltarono a guardare.
«Sbrigati, Bella!», gridò Alice, impaziente, dal finestrino abbassato.
Corsi verso l'auto e mi precipitai nell'abitacolo, con il sospetto che forse avrei dovuto coprirmi il volto con un passamontagna o una calza di nylon. «Caspita, Alice», esclamai. «Una più appariscente non potevi trovarla, eh?».
Gli interni erano in pelle nera e i finestrini oscurati. Ci si sentiva al sicuro, come di notte.
Alice era già intenta a sgattaiolare, troppo velocemente, attraverso il traffico denso dell'aeroporto, infilandosi in varchi angusti tra un'auto e l'altra, mentre armeggiavo con la cintura di sicurezza.
«Sarebbe più sensato chiedersi se avrei potuto rubarne una più veloce, e non credo. Mi è andata bene».
«Immagino che ci farà comodo, al primo posto di blocco».
Fece squillare una risata. «Fidati, Bella. Non faranno neanche in tempo a prepararli, i posti di blocco». Diede un colpo d'acceleratore, a mo' di conferma.
Forse avrei dovuto godermi il panorama, mentre la città di Firenze e la campagna toscana sfilavano a gran velocità, ma il mio primo viaggio in assoluto rischiava di essere anche l'ultimo. La guida di Alice mi terrorizzava, per quanto di lei mi fidassi. E mi sentivo torturare dall'ansia ogni volta che all'orizzonte spuntavano guglie e mura di città che da lontano sembravano castelli.
«Hai visto altro?».
«È in corso qualcosa, una specie di festeggiamento. Le strade sono piene di gente e di bandiere rosse. Quanto ne abbiamo oggi?».
Non ne ero sicura. «Quindici, mi pare».
«Che ironia. È San Marco».
«Cosa significa?».
Rispose con un ghigno cupo. «Ogni anno, la città festeggia il vescovo cristiano Marco - che in realtà è il Marcus dei Volturi - perché, secondo la leggenda, scacciò i vampiri da Volterra, quindici secoli fa. Si narra che morì martire in Romania, mentre tentava di liberare dai vampiri anche quella terra. Ovviamente è falso: non ha mai abbandonato la città. Ma questa è l'origine di certe superstizioni, come la storia delle croci e dell'aglio, e il vescovo Marcus ne ha fatto buon uso. Evidentemente funzionano, perché i vampiri stanno lontani da Volterra». Rise sardonica. «Nei secoli è diventata la festa patronale. Tra l'altro, Volterra è una città sicurissima e il merito se lo prende la polizia».
Iniziavo a capire perché avesse definito la situazione "ironica". «Immagino che vedersi rovinare la festa di San Marco da Edward non gli farà affatto piacere».
Scosse la testa, demoralizzata. «No. Agiranno rapidissimamente».
Guardai altrove, sforzandomi di non staccarmi a morsi il labbro inferiore. Mettermi a sanguinare in quel momento non sarebbe stata una grande idea.
Nel cielo azzurro il sole era spaventosamente alto.
«È sempre deciso per mezzogiorno?», chiesi.
«Sì. È disposto ad aspettare. E loro aspettano lui».
«Dimmi cosa devo fare».
Non staccava gli occhi dalla strada sinuosa e la lancetta del tachimetro segnava il punto estremo. «Niente. Basta che lui ti veda prima di esporsi al sole. E prima ancora di vedere me».
«Come facciamo?».
Alice sorpassò un'auto rossa, tanto lenta che sembrava andasse in retromarcia.
«Cercherò di scaricarti il più vicino possibile e a quel punto correrai dove ti indicherò».
Annuii.
«Cerca di non inciampare», aggiunse. «Oggi non c'è tempo per commozioni cerebrali».
Risposi con un lamento. Sarebbe stata una mossa delle mie: rovinare tutto, distruggere il mondo in un attimo di supergoffaggine.
Il sole saliva lento nel cielo, mentre Alice gli correva incontro. C'era troppa luce, sentivo crescere il panico. In fondo, nessuno lo obbligava ad aspettare mezzogiorno.
«Eccoci», disse lei all'improvviso, indicandomi le mura di una città sul colle più vicino.
Restai a guardarla, in balia dei primi segni di un timore nuovo. Ogni istante, da quando Alice aveva pronunciato il suo nome ai piedi della scala - era passato soltanto un giorno, ma sembrava una settimana -, era stato dominato da una sola paura. Invece, ora, di fronte alla corona di mura antiche e torri che cingeva la collina ripida, ne sentii un'altra, più inquietante ed egoista.
La città doveva essere davvero meravigliosa. Ne ero assolutamente terrorizzata.
«Eccoci», annunciò Alice in tono gelido e distaccato.
 
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