V Capitolo - Imprinting

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petite88
view post Posted on 29/12/2007, 23:01





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Imprinting



«Tu come stai, Jake? Charlie ha detto che stavi passando un brutto periodo... Va un po' meglio?».
La sua mano calda si chiuse sulla mia. «Un po'», disse senza incrociare il mio sguardo.
Tornò lentamente al tronco, fissando i sassolini color arcobaleno e tirandomi al suo fianco. Mi sedetti sul nostro albero, mentre lui si accomodava sul terreno bagnato e roccioso. Forse per nascondere più facilmente il viso. Mi teneva la mano.
Cercai di riempire il silenzio. «È passato così tanto tempo da quando sono venuta qui l'ultima volta. Mi sarò persa un sacco di cose. Come stanno Sam ed Emily? Ed Embry? Quil ha...».
Mi fermai a metà frase quando ricordai che il suo amico Quil era un argomento sensibile.
«Ah, Quil», sospirò Jacob.
Dunque era successo. Quil si era unito al branco.
«Mi dispiace», mormorai.
Con mia sorpresa, Jacob grugnì. «Non rivolgerti così quando parlerai con lui».
«Che vuoi dire?».
«Quil non è in cerca di compassione. Al contrario. È in fermento. Totalmente entusiasta».
La cosa non aveva senso per me. Un tempo avevo visto il terrore negli altri lupi, di fronte all'idea che l'amico condividesse il loro destino.
«Cosa?».
Jacob inclinò la testa all'indietro per guardarmi. Sorrise e alzò gli occhi al cielo.
«Quil pensa che sia la cosa più bella che gli sia mai accaduta. In parte perché finalmente conosce la verità. E poi è eccitato all'idea di avere di nuovo con sé i suoi amici, di far parte del "giro"». Jacob grugnì di nuovo. «C'è poco da sorprendersi, credo. Quil è fatto così».
«Nel senso che è "contento"?».
«A dir la verità... lo sono quasi tutti», ammise Jacob lentamente. «Ci sono degli innegabili aspetti positivi: la velocità, la libertà, la forza... il senso di famiglia. Sam e io siamo gli unici a sentirne il lato amaro. E Sam ci è passato già da un sacco di tempo. Dunque per ora il piagnucolone sono io». Jacob rise di sé.
C'erano davvero tante cose che volevo sapere. «Perché tu e Sam siete diversi? E che cosa è successo a Sam? Qual è il suo problema?». Le domande irruppero una dopo l'altra senza spazio per le risposte e Jacob rise di nuovo.
«È una lunga storia».
«Anch'io ti ho raccontato una lunga storia. Fra l'altro, non ho alcuna fretta di tornare a casa», dissi, poi feci una smorfia pensando ai guai in cui ormai mi ero cacciata.
Con un'occhiata, captò il doppio senso delle mie parole. «Si arrabbierà con te?».
«Sì», confessai. «Detesta quando faccio cose che considera... rischiose».
«Andare in giro con i licantropi, per esempio».
«Esatto».
Jacob scrollò le spalle. «Allora non tornarci. Dormirò sul divano».
«Grande idea», brontolai. «Così verrà dritto a cercarmi».
Jacob s'irrigidì, poi fece un sorriso tetro. «Davvero?».
«Se temesse per la mia incolumità, o qualcosa del genere, penso di sì».
«La proposta mi sembra sempre più perfetta».
«Dai, Jake, per favore. Mi irrita veramente».
«Cosa?».
«Che voi due siate pronti ad ammazzarvi l'un l'altro», mi lamentai. «Mi fa impazzire. Non potete comportarvi da persone civili?».
«Lui pronto ad ammazzarmi?», chiese Jacob con un sorriso arcigno, incurante della mia rabbia.
«Non quanto lo sembri tu!». Mi resi conto che stavo gridando. «Almeno lui è un po' più maturo: sa che fare del male a te sarebbe come farlo a me, quindi non si permetterebbe mai. Ma tu... sembra non te ne importi niente».
«Sì, è vero», borbottò Jacob. «Di sicuro il pacifista è lui».
«Uffa!». Liberai la mano e mi allontanai. Mi rannicchiai con le ginocchia strette al petto.
Fissai lo sguardo verso l'orizzonte, infuriata.
Jacob restò in silenzio per qualche minuto. Alla fine si alzò e si sedette accanto a me, cingendomi la spalla con il braccio. Lo scrollai via.
«Scusa», disse tranquillo. «Cercherò di comportarmi bene».
Non risposi.
«Vuoi ancora che ti racconti di Sam?», propose.
Alzai le spalle.
«Come ti dicevo, è una lunga storia. E molto... strana. Ci sono così tante cose strane in questa nuova vita. Non ho avuto tempo di raccontarti quasi niente. E la storia di Sam... be', non so neanche se sarò in grado di spiegartela bene».
Le sue parole innescarono la mia curiosità, calmando la mia irritazione.
«Ti ascolto», dissi rigida.
Con la coda dell'occhio vidi la sua guancia atteggiarsi a sorriso.
«Per Sam è stata molto più dura che per noi. È stato il primo: era solo e non c'era nessuno a spiegargli niente. Il nonno di Sam è morto prima che lui nascesse e il padre non c'è mai stato. Non c'era nessuno che potesse cogliere i segnali. La prima volta che è successo - la prima volta che si è trasformato - pensava di essere impazzito. Gli ci vollero due settimane per calmarsi e ritrasformarsi. Fu prima che tu arrivassi a Forks, quindi non puoi ricordare. La madre di Sam e Leah Clearwater chiamarono la forestale e la polizia per cercarlo. La gente pensò che fosse successo qualcosa, un incidente...».
«Leah?», chiesi sorpresa. Leah era la figlia di Harry. Il suo nome m'ispirò un moto immediato di compassione. Harry Clearwater, carissimo amico di Charlie, era morto la primavera precedente per infarto.
La voce di Jacob si fece più grave. «Sì. Leah e Sam erano fidanzati, al liceo. Iniziarono a uscire insieme che lei era solo al primo anno. Quando lui scomparve, lei perse la testa».
«Ma lui ed Emily...».
«Ci arriverò; fa parte della storia», rispose.
In effetti era stupido da parte mia immaginare che Sam non avesse mai amato nessuna prima di Emily. È normale innamorarsi più volte nel corso della vita. Eppure, dopo averlo conosciuto non potevo immaginarlo insieme a nessun'altra. Il modo in cui guardava Emily... Sì, avevo notato qualcosa di simile negli occhi di Edward. Quando guardava me.
«Sam tornò», continuò Jacob, «ma non disse a nessuno dov'era stato. Giravano delle voci, perlopiù si diceva che avesse combinato qualcosa di brutto. Poi, un pomeriggio, Sam s'imbatté nel nonno di Quil, il vecchio Quil Ateara, che era passato a trovare la signora Uley. Sam gli strinse la mano. E al vecchio Quil venne un colpo». Jacob si mise a ridere.
«Perché?».
Jacob posò la mano sulla mia guancia, girandomi il viso perché lo guardassi: chino verso di me, il volto a pochi centimetri dal mio. Il suo palmo bruciava come se avesse la febbre.
«Ah, è vero», dissi. Mi metteva a disagio tenere il viso così vicino a quello di Jacob, con la sua mano calda sulla mia pelle. «Sam aveva la febbre».
Jacob rise di nuovo. «Sembrava che avesse lasciato la mano sul fornello acceso».
Era così vicino che sentivo il suo respiro caldo. Mi alzai con naturalezza, per liberarmi il viso, e intrecciai le dita con le sue per non turbarlo. Lui sorrise e si drizzò, la mia falsa disinvoltura non l'aveva ingannato.
«Così il vecchio Ateara andò dritto dagli altri anziani», proseguì Jacob. «Erano gli unici che sapevano ancora, che ricordavano. Il vecchio Quil, Billy e Harry avevano visto i loro nonni trasformarsi. Quando vennero a sapere di Sam, s'incontrarono con lui in segreto e gli spiegarono tutto. Capire gli rese le cose più semplici: non era più solo. Sapevano che non sarebbe stato l'unico a reagire al ritorno dei Cullen», pronunciò il nome con inconsapevole amarezza, «ma nessuno era ancora abbastanza adulto. Così Sam ha aspettato che lo raggiungessimo...».
«I Cullen non potevano saperlo», sussurrai. «Non immaginavano che i licantropi esistessero ancora. Non sapevano che venire qui vi avrebbe trasformati».
«Questo non ha impedito che succedesse».
«Ricordami di non stuzzicare il tuo lato cattivo».
«Credi che con loro dovrei essere comprensivo come sei tu? Non possiamo essere tutti santi e martiri».
«Cresci una buona volta, Jacob».
«Mi piacerebbe», mormorò piano.
Lo fissai, confusa di fronte alla sua risposta. «In che senso?».
Jacob sogghignò. «Una di quelle strane cose a cui accennavo».
«Tu non puoi... crescere?», dissi inespressiva. «Non ci credo. Tu non... invecchi? Mi prendi in giro?».
«No», disse a mezza voce.
Mi sentii arrossire. Lacrime di rabbia mi riempirono gli occhi. Dai miei denti uscì un ringhio.
«Bella? Che ho detto?».
Ero di nuovo in piedi, con i pugni chiusi e le ossa tremanti.
«Tu. Non. Invecchi», ringhiai a denti stretti.
Jacob mi prese il braccio con delicatezza, cercando di farmi sedere. «Né io né gli altri. Che cos'hai?».
«Sono io l'unica che dovrà diventare vecchia? Io invecchio ogni schifoso giorno!». Quasi strillai, lanciando le braccia al cielo. Una piccola parte di me si rendeva conto che stavo facendo una scenata alla Charlie, ma il mio lato razionale era ampiamente offuscato da quello irrazionale. «Merda! Che razza di mondo è questo? Dove sta la giustizia?».
«Non te la prendere, Bella».
«Zitto, Jacob. Stai zitto! È così ingiusto!».
«Stai veramente pestando i piedi per questo? Pensavo che le ragazze lo facessero solo in TV».
Ruggii senza grande effetto.
«Non è terribile come credi. Siediti e ti spiego».
«Voglio stare in piedi».
Alzò gli occhi al cielo. «Okay. Fa' come ti pare. Ma, ascolta, io invecchierò... un giorno».
«Spiegati».
Mi fece segno di sedermi sull'albero. Lo fissai arrabbiata per un secondo, poi lo accontentai. La mia collera si era spenta nel momento stesso in cui divampava e mi ero calmata abbastanza da rendermi conto che mi stavo comportando da stupida.
«Una volta raggiunto l'autocontrollo sufficiente a non...», cominciò Jacob. «Quando riusciamo a non trasformarci per un certo periodo di tempo, ricominciamo a invecchiare. Non è facile». Scosse la testa, improvvisamente dubbioso. «Ci vorrà un bel po' di tempo per imparare a tenere il freno, credo. Nemmeno Sam ci è ancora riuscito. Certo, il fatto che ci sia un enorme clan di vampiri dietro l'angolo non aiuta. Non possiamo permetterci di smettere finché la tribù avrà bisogno di protettori. Non è il caso che tu ci perda la testa, a ogni modo, perché sono già più vecchio di te, almeno fisicamente».
«In che senso?».
«Guardami, Bells. Dimostro sedici anni?».
Squadrai il suo corpo gigantesco, cercando di essere obiettiva. «Direi proprio di no».
«Per niente. Quando il gene del licantropo s'innesca, ci bastano pochi mesi per raggiungere il massimo della crescita. È uno scatto tremendo, un fulmine». Fece una smorfia. «Fisicamente sono un venticinquenne, più o meno. Per almeno altri sette anni, non dovrai andare in crisi perché sei più vecchia di me».
Venticinquenne, più o meno. L'idea mi confondeva. Eppure ricordavo quella crescita lampo: era diventato più alto e robusto proprio sotto il mio naso. Ricordavo come fosse cambiato da un giorno all'altro... Scossi la testa, in preda alle vertigini.
«Allora, volevi sapere di Sam o preferisci continuare la ramanzina per qualcosa che non posso controllare?».
«Scusa. L'età è un argomento delicato per me. Hai sfiorato un tasto sensibile».
Jacob affilò lo sguardo; sembrava in cerca delle parole giuste.
Non era mia intenzione parlare di argomenti delicati, come i miei piani per il futuro, o i patti che rischiavano di infrangere, così gli diedi un suggerimento. «Dunque, dicevi che dopo aver capito cosa stava succedendo, e parlato con Billy, Harry e il signor Ateara, le cose non sono più state così difficili per Sam. Poi hai detto che il bello doveva ancora venire... Ma perché Sam li odia così tanto? Perché desidera che io li odi?».
Jacob sospirò. «Questa è davvero la parte più strana».
«Sono una professionista delle stranezze».
«Sì, lo so». Sorrise. «Dunque, hai ragione. Sam sapeva cosa stesse accadendo, e tutto era quasi a posto. Tutto sommato la sua vita, be', non era tornata normale. Era migliorata». Poi la sua espressione si tese, come ad anticipare qualcosa di doloroso. «Sam non poteva dire niente a Leah. Non possiamo parlarne con chi non deve sapere. E per lui non era molto sicuro starle accanto. Ma imbrogliò, come ho fatto io con te. Leah era furiosa perché lui non voleva dirle che cosa stava accadendo - dov'era stato, dove passava le notti, perché fosse sempre così stanco - ma ce la stavano facendo. Si sforzavano. Erano innamorati sul serio».
«E lei l'ha scoperto? È questo che è successo?».
Scosse la testa. «No, il problema fu un altro. Un fine settimana, a trovare Leah è passata sua cugina, Emily Young, che abitava nella riserva di Makah».
Restai senza fiato. «Emily è cugina di Leah?».
«Di secondo grado. Ma sono molto unite. Da bambine erano come sorelle».
«È... orribile. Come ha potuto Sam...», mormorai scuotendo la testa.
«Aspetta a giudicare. Non ti hanno mai parlato... hai mai sentito parlare dell'imprinting?».
«Imprinting?». Ripetei la parola poco familiare. «No. Che significa?».
«Una delle stranezze con cui dobbiamo fare i conti. Non succede a tutti. Anzi, è un'eccezione piuttosto rara, non la regola. Fino ad allora Sam aveva sentito tante storie a proposito, le storie che tutti eravamo abituati a considerare leggende. Sapeva dell'imprinting, ma non avrebbe mai immaginato...».
«Che cos'è?», lo pungolai.
Gli occhi di Jacob vagarono verso l'oceano. «Sam amava Leah. Ma, appena ha visto Emily, non glien'è importato più nulla. A volte... non sappiamo esattamente perché... troviamo così le nostre compagne». I suoi occhi tornarono a me in un lampo, e arrossì. «Voglio dire... le nostre anime gemelle».
«In che modo? Con un colpo di fulmine?», ridacchiai.
Jacob non sorrise. Il suo sguardo nero era contrariato. «Molto più potente. Più assoluto».
«Scusa», farfugliai. «Stai parlando seriamente, vero?».
«Sì».
«Un colpo di fulmine... ancora più potente?». La mia voce suonava dubbiosa e lui se ne accorse.
«Non è facile da spiegare. Non importa, comunque». Si strinse nelle spalle con aria indifferente. «Volevi sapere cos'è successo a Sam di così tremendo da fargli odiare i vampiri per averlo trasformato, da averlo costretto a odiare se stesso. Ecco cos'è successo. Ha spezzato il cuore di Leah. Ha infranto tutte le promesse che le aveva fatto. Ogni giorno è costretto a subire il suo sguardo d'accusa, senza poterle dare torto».
All'improvviso smise di parlare, come se avesse detto qualcosa che non voleva.
«Come si è comportata Emily? Se era così vicina a Leah...». Sam ed Emily erano perfetti insieme, due tessere del puzzle, modellati uno sull'altra in modo esatto. Eppure... come era riuscita Emily a superare la consapevolezza che lui fosse appartenuto a un'altra? A una che poteva quasi chiamare sorella.
«È stato difficile all'inizio. Ma era ancor più difficile resistere a un tale livello di coinvolgimento e adorazione». Jacob sospirò. «Ma, soprattutto, a lei Sam poteva dire tutto. Le regole non contano più quando trovi la tua metà. Tu sai come si è ferita?».
«Sì». A Forks dicevano che era stata colpita da un orso, ma io conoscevo il segreto.
I licantropi sono volubili, aveva detto Edward. Chi gli sta accanto finisce per farsi male.
«Bene, ti sembrerà strano, ma più o meno è così che hanno risolto le cose. Sam era talmente terrorizzato e disgustato da se stesso, pieno d'odio per ciò che aveva fatto... Si sarebbe buttato sotto un autobus pur di farla stare meglio. Lo avrebbe fatto in ogni caso, solo per rimorso. Era a pezzi. Poi, chissà come, fu lei a consolare lui, e a quel punto...».
Jacob non concluse il suo pensiero; la storia, capii, si era fatta troppo personale per condividerla.
«Povera Emily», sussurrai. «Povero Sam. Povera Leah...».
«Sì, a Leah è toccata la parte peggiore. È stata coraggiosa. Sarà una delle damigelle, al loro matrimonio».
Mentre provavo a dare un senso a tutto, guardai lontano, verso le rocce frastagliate che spuntavano dall'oceano come dita mozzate a sud del golfo. Sentivo i suoi occhi che mi fissavano, in attesa che dicessi qualcosa.
«A te è successo?», domandai infine, senza guardarlo. «Di passare per quella specie di colpo di fulmine?».
«No», rispose subito. «È successo solo a Sam e Jared».
Annuii, cercando di dimostrare un interesse moderato. Provai a spiegarmi la reazione di sollievo che provavo. Conclusi che ero semplicemente contenta di non essermi sentita dichiarare che c'era qualcosa di mistico, qualche connessione lupésca fra noi. La nostra relazione era già abbastanza confusa. Non mi occorreva un'ulteriore dose di sovrannaturale, oltre a quella con cui già dovevo fare i conti.
Anche lui era tranquillo e il suo silenzio sembrò un po' imbarazzato. Il mio sesto senso mi diceva che era meglio che non ascoltassi ciò che stava pensando.
«E com'è stato per Jared?», domandai per spezzare quella lunga pausa.
«Nessun dramma, in quel caso. Era la sua compagna di banco da un anno, e non l'aveva mai degnata di uno sguardo. Poi si è trasformato e uno sguardo è bastato per non toglierle più gli occhi di dosso. Kim era felicissima. Era già cotta di lui. Aveva il diario pieno di scritte con il suo nome e il cognome di Jared». Rise beffardo.
Aggrottai le sopracciglia. «Te l'ha raccontato Jared? Non avrebbe dovuto».
Jacob si morse le labbra. «Immagino che non dovrei ridere. Ma è divertente».
«Anime gemelle».
Sospirò. «Non è stata intenzione di Jared dircelo. Ti ho già parlato di questa cosa, ricordi?».
«Ah, sì. Vi leggete nel pensiero, ma soltanto quando siete lupi, giusto?».
«Giusto. Proprio come il tuo succhiasangue». Mi guardò torvo.
«Edward», precisai.
«Certo, certo. Per questo conosco così bene lo stato d'animo di Sam. Non ci avrebbe detto nulla, se avesse potuto scegliere. In realtà tutti noi detestiamo questa faccenda». La sua voce si fece amara e roca. «È orribile. Niente privacy, niente segreti. Tutto ciò di cui ti vergogni è lì in bella mostra, sotto gli occhi di tutti». Scrollò le spalle.
«Sembra orribile», sussurrai.
«A volte serve, se abbiamo bisogno di coordinarci», ammise a denti stretti, «di tanto in tanto, se capita che un succhiasangue attraversi il nostro territorio. Con Laurent è stato divertente. E se i Cullen non si fossero messi in mezzo sabato scorso...». Gemette. «L'avremmo presa!». Strinse rabbiosamente i pugni.
Rabbrividii.
Per quanto mi preoccupassi dell'incolumità di Jasper o Emmett, era niente rispetto al panico che sentivo pensando a Jacob di fronte a Victoria. Emmett e Jasper erano quanto di più vicino all'indistruttibilità potessi immaginare. Jacob era ancora caldo, ancora relativamente umano. Mortale. Pensai a Jacob faccia a faccia con Victoria, a quei capelli luminosi e arruffati sugli strani lineamenti felini...
Jacob mi guardò con espressione curiosa. «Ma non è sempre così anche per te? Lui non è sempre nella tua mente?».
«Oh, no. Edward non è mai nella mia mente. Vorrebbe, ma non può».
L'espressione di Jacob si fece confusa.
«Non può sentirmi», spiegai, un po' compiaciuta, come ai vecchi tempi. «Sono l'unica che non riesce a sentire. Non sappiamo perché».
«Strano», disse Jacob.
«Sì». Il compiacimento sparì. «Forse vuol dire che c'è qualcosa che non va nel mio cervello», ammisi.
«Sapevo già che c'era qualcosa che non andava, nel tuo cervello», brontolò Jacob.
«Grazie».
Improvvisamente il sole spuntò fra le nuvole, una sorpresa inaspettata, e il suo riflesso sull'acqua mi costrinse a socchiudere gli occhi. Tutto cambiò colore: le onde grigie divennero blu, gli alberi passarono dall'oliva spento a un giada brillante, e i sassolini iridescenti brillarono come gioielli.
Gli occhi si adattarono a stento alla nuova luce. Non c'erano rumori a parte lo scrosciare vuoto delle onde che risuonava da ogni lato della baia, l'affilarsi dolce delle pietre l'una contro l'altra sotto i movimenti dell'acqua e le grida dei gabbiani che ci sovrastavano. C'era una grande pace.
Jacob si avvicinò, appoggiandosi al mio braccio. Era caldissimo.
Dopo un minuto, fui costretta a togliermi il giubbotto. Dalla sua gola uscì un breve rumore soddisfatto e appoggiò la guancia sulla mia fronte. Sentivo il sole scaldarmi la pelle - ma non era caldo quanto Jacob - e mi chiesi oziosamente quanto ci avrei messo a prendere fuoco.
Senza pensare girai la mano destra e guardai il luccichio che il sole produceva sulla cicatrice lasciata da James.
«A cosa pensi?», mormorò.
«Al sole».
«Già. È bello».
«E tu a cosa pensi?», chiesi.
Ridacchiò. «Ricordavo quel film stupidissimo che mi hai portato a vedere. E a Mike Newton che vomitava dappertutto».
Risi anch'io, sorpresa di come il tempo avesse cambiato quel ricordo. Una volta ne ero stata tormentata, confusa. Quante cose erano cambiate quella notte... finalmente potevo riderne. Era stata l'ultima sera passata con Jacob prima che lui scoprisse la verità sulle sue origini. L'ultimo ricordo umano. Un ricordo divenuto stranamente piacevole.
«Mi manca», disse Jacob. «Mi manca com'era tutto più semplice... senza complicazioni. Per fortuna ho una buona memoria». Sospirò.
Le sue parole avevano innescato i ricordi e lui percepì l'improvvisa tensione nel mio corpo.
«Che c'è?», chiese.
«A proposito dei tuoi bei ricordi...». Mi allontanai per poterlo guardare bene in faccia. Sembrava confuso. «Ti dispiacerebbe dirmi cosa avevi in mente lunedì mattina? I tuoi pensieri hanno infastidito Edward». "Infastidito" non era la parola giusta, ma desideravo una risposta e pensai che era meglio non essere troppo severa.
Il viso di Jacob si illuminò di comprensione e rise. «Stavo solo pensando a te. Non gli ha fatto molto piacere, vero?».
«A me? Cosa c'entravo io?».
Jacob rise, con un filo di amarezza. «Mi stavo ricordando il tuo aspetto la notte che Sam ti trovò: l'ho visto nella sua mente, è come se ci fossi stato anch'io. Quel ricordo lo tormenta ancora, sai. Poi mi sono ricordato di te la prima volta che sei venuta a casa mia. Scommetto che non hai la più pallida idea delle condizioni in cui eri, Bella. Ci sono volute settimane prima che riprendessi un aspetto umano. E mi sono ricordato che ti rannicchiavi sempre, quando cercavi di mantenere la calma...». Jacob trasalì, poi scosse la testa. «È un ricordo doloroso per me, e non era colpa mia. Ho pensato che per lui sarebbe stata più dura. Ho pensato che era il caso di mostrargli cosa aveva combinato».
Gli diedi un ceffone sulla spalla. Mi feci male alla mano. «Jacob Black, non farlo mai più! Promettimelo».
«Figurati. Non mi divertivo così da mesi».
«Ti prego aiutami, Jake...».
«Oh, rilassati, Bella. Credi che lo rivedrò presto? Non preoccuparti».
Mi alzai e mentre mi avviavo mi prese la mano. Cercai di liberarmi.
«Jacob, io vado».
«No, resta ancora un po'», protestò stringendomi la mano. «Mi dispiace. E... okay, non lo farò più. Promesso».
Sospirai. «Grazie, Jake».
«Vieni, torniamo a casa mia», disse con entusiasmo.
«Veramente dovrei andare. Angela Weber mi aspetta, e so che Alice è preoccupata. Non voglio farla stare troppo in pensiero».
«Ma se sei appena arrivata!».
«Così sembra». Guardai verso il sole, già alto. Come aveva fatto il tempo a passare tanto in fretta?
S'incupì. «Chissà quando ci rivedremo», disse con voce spezzata.
«Tornerò la prossima volta che lui è via», promisi con un moto impulsivo.
«Che lui è via?». Jacob alzò gli occhi al cielo. «Che modo carino di descrivere quello che fa. Disgustosi parassiti».
«Se non cambi maniere, non torno più!», lo minacciai, cercando di liberarmi la mano. Rifiutò di lasciarmi andare.
«Sì, non ti arrabbiare», ghignò. «Reazione istintiva».
«Io cercherò di tornare, ma tu impegnati a comportarti come si deve, okay?».
Restò in silenzio.
«Ascolta bene. Non m'interessa chi è un vampiro e chi un licantropo. È irrilevante. Tu sei Jacob, lui è Edward, io sono Bella. Il resto non conta».
Socchiuse gli occhi leggermente. «Ma io sono un licantropo», disse, poco convinto. «E lui è un vampiro», aggiunse con ovvia repulsione.
«E io sono della Vergine!», gridai esasperata.
Alzò un sopracciglio, misurando curioso la mia espressione. Infine scrollò le spalle.
«Se riesci a vederla così...».
«Ci riesco. E lo faccio».
«Okay. Soltanto Bella e Jacob. Niente strane Vergini in giro». Mi sorrise, con quel sorriso caldo, familiare, che mi era mancato così tanto. Sentii un sorriso di risposta allargarsi sul mio viso.
«Mi sei davvero mancato, Jake», confessai di getto.
«Anche tu», e il suo sorriso si allargò. Il suo sguardo era felice e limpido, per una volta libero dall'amarezza rabbiosa. «Più di quanto immagini. Tornerai presto?».
«Il più presto possibile», promisi.
 
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