Capitolo 23

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petite88
view post Posted on 21/1/2008, 21:43





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In modo da avere una mano libera per la pistola, trasferii tutti i sacchetti in quello più grosso. Una donna che si porta appresso due bracciate di sacchetti è un bersaglio ideale, per un killer. Anche se ha addosso una pistola, prima deve liberarsi dei sacchetti, ammesso che uno non le rimanga appeso a un polso, poi deve impugnare l'arma, estrada, mirare e premere il grilletto.
Nel frattempo, il cattivo le ha già piantato due pallottole in corpo e si è allontanato canticchiando.
Ero stata in paranoia per tutto il pomeriggio, sospettando di chiunque mi si avvicinasse. Ero pedinata? Quel tizio non mi stava guardando con troppa insistenza? Quella donna portava un fazzoletto intorno al collo per nascondere i morsi di un vampiro?
Quando arrivai all'auto, avevo i muscoli del collo e delle spalle dolorosamente contratti, anche se le cose più spaventose che avevo visto in tutto il pomeriggio erano i prezzi dei vestiti. Uscendo dal centro commerciale, scoprii che il mondo era ancora azzurro, luminoso e torridamente caldo. È facile perdere la nozione del tempo in quel microcosmo artificiale il cui clima è dettato dai condizionatori: è una sorta di Disneyland per maniaci degli acquisti.
Dopo avere chiuso il grosso sacchetto nel portabagagli, osservai il cielo che incupiva. Conosco la paura: è come una palla di piombo alla bocca dello stomaco. E io, in quel momento, provavo una bella paura sorda.
Scrollai le spalle per allentare la tensione, ruotai il collo sino a far schioccare le articolazioni e mi sentii un po' meglio. Però avevo bisogno di qualche aspirina. Come non faccio quasi mai, avevo pranzato al centro commerciale: nel momento in cui avevo fiutato il cibo ero come impazzita di fame.
Avevo mangiato una pizza che si poteva descrivere soltanto come un cartone sottile cosparso di un'imitazione di pomodoro e di mozzarella gommosa e insipida. Io, che sono ghiotta di cose semplici, come le focacce di granturco e le gallette dolci, ne avevo ordinato un pezzo, uno soltanto, guarnito con un po' di tutto. In realtà, preferisco la pizza bianca; detesto sia i funghi sia i peperoni verdi, e la salsiccia, a mio parere, è adatta soltanto alla prima colazione. Insomma, non so che cosa mi preoccupasse di più: avere ordinato proprio la pizza, oppure averne divorata metà prima di accorgermi di quello che stavo facendo. D'un tratto mi avventavo su cibi che normalmente mi facevano ribrezzo. Perché? Era una nuova domanda, destinata per il momento a restare senza risposta. Ma per quale motivo ne ero spaventata?
La mia vicina, Mrs. Pringle, stava passeggiando col suo cane sul prato davanti al nostro condominio. La vidi quando, dopo avere parcheggiato, scaricai il grosso sacchetto dal portabagagli.
Ultrasessantenne e resa troppo magra dall'età, Mrs. Pringle è alta quasi un metro e ottanta. Dietro gli occhiali dalla montatura in argento, i suoi occhi, di un azzurro sbiadito, sono curiosi e luminosi. Il suo cane è un volpino di Pomerania di nome Custard, che sembra un tarassaco dorato con zampe di gatto.
Con un cenno di saluto, Mrs. Pringle m'intrappolò. Sorridendo, mi avvicinai a lei e a Custard, che cominciò a saltarmi addosso come se le sue zampette fossero a molla. Sembra un giocattolo meccanico e abbaia sempre, anche se in modo allegro. Sa di non essermi simpatico, perciò, nella sua contorta mente canina, è assolutamente deciso a conquistarmi. O forse è semplicemente consapevole che il suo comportamento mi irrita.
«Anita, ragazzaccia che non sei altro!» esordì Mrs. Pringle. «Perché non mi hai detto di avere un beau?»
Aggrottai la fronte. «Un beau?»
«Ma sì, un fidanzato.»
Ma di che diavolo stava parlando? «A che cosa allude?»
«Capisco la tua riservatezza, ma quando una giovane donna consegna le chiavi del suo appartamento a un uomo... Be', significa pure qualcosa!»
La palla di piombo alla bocca del mio stomaco salì di qualche centimetro, insinuandosi nell'esofago. «Ha forse visto qualcuno entrare nel mio appartamento, oggi?» Mantenere un'espressione e un tono noncuranti mi costò uno sforzo enorme.
«Si, il tuo bel giovanotto. È davvero molto bello.»
Fui sul punto di chiederle di descrivermelo, tuttavia, se era il mio fidanzato e aveva le chiavi del mio appartamento, si presumeva che sapessi quale aspetto aveva, perciò mi trattenni. Molto bello... Phillip? Ma perché?
«Quand'è passato?»
«Oh, intorno alle due. È arrivato mentre tornavo dalla mia solita passeggiata con Custard. Abbiamo scambiato qualche parola...»
«Lo ha visto uscire?»
Mrs. Pringle mi scrutò con un'intensità un po' eccessiva. «No, Anita.
Vuoi dire che non doveva entrare in casa tua? Era forse un ladro?»
«No di certo!» Riuscii a sorridere. «È soltanto che oggi non aspettavo una sua visita. Se dovesse capitarle di nuovo di vedere qualcuno entrare da me, lasci pure che faccia: ci sarà un po' di andirivieni di amici, nei prossimi giorni.»
Mentre le sue mani dall'ossatura delicata restavano immobili, Mrs. Pringle continuò a scrutarmi, socchiudendo gli occhi. Persino Custard rimase fermo, seduto sull'erba, ansimante, a fissarmi. «Anita Blake... Cosa stai combinando?», riprese infine l'anziana signora, in un tono che mi rammentò che era un'insegnante in pensione.
«Oh, niente... È soltanto che non ho mai lasciato le chiavi di casa a nessun uomo, finora, e sono piuttosto indecisa, anzi nervosa.» Sostenni il suo sguardo, sgranando gli occhi nella mia espressione più innocente.
Mrs. Pringle non sembrava convinta. «Se quel giovanotto ti rende tanto nervosa, allora significa che non è adatto a te», ribatté incrociando le braccia sul petto. «Se lo fosse, non lo saresti.»
Il sollievo mi diede la vertigine: mi aveva creduto. «Probabilmente ha ragione. Grazie del consiglio: forse lo seguirò.» Mi sentivo così bene che accarezzai la testolina folta e morbida di Custard.
Mentre mi allontanavo, Mrs. Pringle disse: «E adesso, Custard, fai quello che devi fare, così poi possiamo rientrare».
Per la seconda volta, quel giorno, scoprii che un intruso si era introdotto nel mio appartamento. Nel percorrere il corridoio silenzioso, sfoderai la pistola.
Ma in quell'istante si aprì la porta di un altro appartamento, da cui uscirono un uomo e due ragazzini, e io mi affrettai a infilare la mano armata nel sacchetto, fingendo di cercare qualcosa. Poi rimasi ad ascoltare i passi dei tre che scendevano, echeggianti nella tromba delle scale.
Non potevo restare seduta in corridoio ad aspettare con la pistola in pugno: qualcuno avrebbe potuto avvertire la polizia. A quell'ora, tutti gli inquilini, ormai rientrati dal lavoro, erano intenti a cenare, a leggere il giornale, a giocare coi figli, o qualcosa del genere. Insomma, quell'angolo d'America era ben desto, all'erta: non lo si poteva attraversare impunemente ad armi spianate.
Ripresi a camminare, con la mano destra e la pistola infilate nel sacchetto che tenevo davanti a me con la sinistra: alla peggio, avrei sparato attraverso la plastica. Accanto alla porta del mio appartamento, posai il sacchetto contro la parete, quindi passai la pistola nella sinistra e presi le chiavi dalla borsa. Anche se non sapevo sparare molto bene con la sinistra, dovevo accontentarmi. Tenendo l'arma lungo la coscia, con la speranza che
nessuno arrivasse a incrociarmi da sinistra e la vedesse, m'inginocchiai accanto alla porta, stringendo le chiavi nella destra senza lasciarle tintinnare.
Imparo in fretta, io.
Con la pistola all'altezza del petto, inserii la chiave nella serratura e aprii la porta. Lo scatto mi fece trasalire. Rimasi in attesa di colpi d'arma da fuoco o rumori o qualsiasi altra cosa.
Nulla.
Intascai le chiavi e passai la pistola nella destra. Esponendo soltanto il polso e parte dell'avambraccio, girai la maniglia e spinsi forte l'uscio, che sbatté contro la parete: nessuno si era nascosto da quel lato.
Nessuno sparo. Silenzio.
Quasi accovacciata, con la pistola puntata, mi affacciai alla porta e scrutai la stanza, senza vedere nessuno. La poltrona bianca era ancora di fronte alla porta, ma nessuno la occupava. In quel momento, se avessi visto Edward, sarei stata quasi contenta.
Un rumore di passi sul pianerottolo in fondo al corridoio mi suggerì che dovevo prendere una decisione. Senza distogliere lo sguardo e la pistola dall'interno dell'appartamento, allungai alle mie spalle la mano sinistra a prendere il sacchetto, poi, sempre accucciata, lo spinsi dentro, varcai la soglia, richiusi l'uscio.
Trasalii quando il termostato dell'acquario si accese con uno scatto e un ronzio. Il sudore mi colò lungo la schiena. Ecco l'audace cacciatrice di vampiri! Se «loro» mi avessero vista in quel momento...
Avevo la sensazione di essere sola nell'appartamento, tuttavia, per prudenza, spalancando le porte di scatto e appiattendomi contro le pareti con la pistola puntata, come se giocassi all'ispettore Callaghan, ispezionai tutta la casa, inclusi gli armadi: guardai persino sotto il letto.
Mi sentii sciocca, ma sarei stata ancora più sciocca se mi fossi fidata di un'impressione che avrebbe potuto rivelarsi sbagliata.
Sul tavolo di cucina trovai un fucile a canna mozza, con due scatole di munizioni sopra un foglio di carta bianca sul quale era scritto a penna nera, in calligrafia chiara: Anita, hai ventiquattro ore.
Lessi e rilessi il messaggio. Edward era stato lì. Trattenni il fiato a lungo, immaginando Mrs. Pringle che chiacchierava con Edward.
Se lei avesse esitato a credere alla sua menzogna, o se avesse mostrato paura, lui l'avrebbe forse uccisa?
Non lo sapevo. Non lo sapevo e basta. Dannazione! Era come un'epidemia: mettevo in pericolo tutti quelli che conoscevo, e non potevo farci niente.
Quando si è assaliti dal dubbio, bisogna tirare un bel respiro e darsi da fare. Era una filosofia che seguivo da anni. Ne conosco di peggiori.
Il messaggio significava che disponevo di ventiquattro ore prima che Edward mi obbligasse a rivelare dove si trovava il rifugio diurno di Nikolaos.
Se non fossi stata in grado di fornirgli quell'informazione, avrei dovuto ucciderlo, e forse non ci sarei riuscita. Avevo detto a Ronnie che lei e io eravamo professioniste, ma, se Edward era un professionista, allora io ero una dilettante, e lo era anche Ronnie.
Emisi un sospiro profondo. Dovevo prepararmi per il party: non avevo tempo per Edward. Per quella notte, avevo altri problemi.
La spia della segreteria telefonica lampeggiava. Nel primo messaggio, Ronnie mi riferiva quello che mi aveva già spiegato a proposito della HAV. Evidentemente mi aveva telefonato a casa prima di cercarmi da Dave.
Il secondo annunciava: «Anita... Sono Phillip... So dove si terrà il party. Passa a prendermi al Guilty Pleasures alle sei e mezzo. Ciao».
Uno scatto, un ronzio, e la segreteria tacque. Mi restavano due ore per vestirmi e per raggiungere il club: avevo tempo in abbondanza. Di solito mi trucco in un quarto d'ora e per i capelli mi accontento di una bella spazzolata.
Insomma, mi rendo presentabile in breve tempo.
Dato che non mi trucco spesso, quando lo faccio ho sempre la sensazione di sembrare troppo cupa e falsa, anche se ricevo sempre complimenti del tipo: «Perché non usi l'ombretto più spesso? Ti fa risaltare gli occhi!»
Oppure il mio preferito: «Truccata sei molto più bella». Senza trucco sono quindi una candidata al circolo delle zitelle?
Un cosmetico che non uso mai è il fondotinta, perché non sopporto l'idea d'impiastricciarmi la faccia. Ho un flaconcino di smalto, ma lo uso per i collant: se ne indosso un paio una volta senza smagliarlo, allora significa che ho trascorso una giornata magnifica.
In camera da letto, davanti alla specchiera, infilai un top che si allacciava dietro il collo e lasciava scoperta la schiena, formando un arco grazioso sulle reni. Avrei fatto a meno dell'arco, ma per il resto non era male. Poi indossai una gonna nera, lunga, liscia, ampia, che ondeggiava e roteava quando mi muovevo. I cerotti alle mani contrastavano con la gonna, ma pazienza...
Infilando le mani attraverso le tasche della gonna potevo sfoderare i pugnali d'argento infilati nei foderi cosciali: semplice e perfetto, a parte il sudore.
Non ero invece riuscita a escogitare un modo per nascondermi una pistola addosso. Anche se in TV si vedono spesso donne che portano la pistola nella fondina alla coscia, questa è una soluzione maledettamente scomoda: si cammina come un'anatra col pannolino.
Completai l'abbigliamento con un paio di calze e scarpe décolleté in raso nero dal tacco alto. A parte le scarpe e le armi, che possedevo già, avevo acquistato tutto appositamente per la serata, inclusa un'elegante borsetta nera con una tracolla sottile, che mi avrebbe lasciato le mani libere. Nella borsetta nascosi la mia pistola più piccola, la Firestar. Lo so, lo so... Prima che fossi riuscita a estrarla, i cattivi avrebbero avuto tutto il tempo di banchettare con le mie carni, però era meglio di niente.
Tenni al collo il crocifisso d'argento, che s'intonava magnificamente al top nero, anche se dubitavo che i vampiri mi avrebbero fatto partecipare al party con un ciondolo d'argento benedetto a forma di croce. Pazienza...
L'avrei lasciato nell'auto, insieme col fucile a canna mozza e con le munizioni.
Lanciai un'occhiata alla scatola che aveva contenuto l'arma e che Edward aveva lasciato accanto al tavolo. Che cosa poteva avere detto a Mrs. Pringle? Che si trattava di un regalo per me?
Nel biglietto, Edward aveva scritto che mi restavano ventiquattro ore, ma... a partire da quando? Sarebbe forse arrivato all'alba, tutto allegro, per estorcermi informazioni con la tortura? Edward non mi sembrava proprio un tipo mattiniero, quindi sarei stata al sicuro almeno fino al pomeriggio, probabilmente...
 
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