Capitolo 24

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petite88
view post Posted on 21/1/2008, 21:48





24



Quando m'insinuai con l'auto nella zona - in divieto di sosta - davanti al Guilty Pleasures, Phillip era appoggiato al muro, con le braccia lungo i fianchi. Indossava una canottiera nera a rete, che lasciava intravedere le cicatrici e l'abbronzatura, e pantaloni in pelle nera. Non so se fu per la pelle o per la canottiera a rete, ma ebbi la netta sensazione che gli mancasse soltanto un cartello con su scritto: UNO STALLONE.
Cercai d'immaginarlo a dodici anni, ma invano. Qualunque cosa gli fosse successa, ormai era quello che era, e come tale dovevo considerarlo.
Non sono una psichiatra, non posso permettermi di commiserare i disgraziati.
La compassione è un sentimento che può costare la vita: a eccezione, forse, dell'amore, soltanto l'odio cieco è più pericoloso. Staccatosi dal muro, Phillip si avvicinò all'automobile mentre aprivo la portiera, quindi entrò.
Odorava di pelle, di acqua di colonia costosa e un po' anche di sudore.
Ripartii. «Hai uno stile piuttosto aggressivo, Phillip...» Lui girò la testa a guardarmi, impassibile, gli occhi sempre nascosti dagli occhiali da sole che aveva indossato quel mattino. Si addossò allo schienale, piegò una gamba contro la portiera e allungò l'altra. «Prendi la 70th West», disse, con voce aspra, quasi rude.
Quando una donna resta sola con un uomo, esiste sempre un momento in cui entrambi si rendono conto in maniera quasi dolorosa che si tratta di una situazione piena di possibilità, che può condurre all'imbarazzo o al sesso o alla paura...
Be', noi due non avremmo fatto sesso: su quello ci si poteva scommettere.
Lanciai un'occhiata a Phillip, che si era tolto gli occhiali da sole e, con le labbra dischiuse, continuava a guardarmi. Cosa diavolo stava succedendo?
Nel percorrere velocemente la superstrada, cercai d'ignorarlo, concentrandomi sulla guida e sul traffico, però continuai a sentire su di me, quasi come un'onda di calore, il peso del suo sguardo.
D'improvviso, mentre Phillip scivolava lentamente verso di me, sentii lo sfregamento della pelle sulla tappezzeria: un suono caldo, animale. Quando mi passò un braccio intorno alle spalle, appoggiandosi a me col petto, reagii: «Che diavolo credi di fare?»
«Qualcosa non va?» Phillip mi alitò sul collo. «Non sono abbastanza aggressivo, per te?»
Non riuscii a trattenermi dal ridere, però mi accorsi che lui s'irrigidiva.
«Non volevo offenderti, Phillip. Semplicemente, non credevo che fosse una serata da canottiera a rete e calzoni di pelle.»
Insistente, caldo, Phillip continuò a restarmi troppo vicino, la voce sempre stranamente rude. «Che cosa ti piace, allora?»
Ormai era così vicino che, quando gli lanciai un'occhiata, mi trovai isuoi occhi a pochi centimetri e, per effetto di quella vicinanza, provai una sorta di scossa elettrica. Subito riportai l'attenzione alla strada. «Stai alla larga, Phillip.»
All'orecchio, lui mi sussurrò: «Che cosa ti eccita?»
Ne avevo abbastanza. «Quanti anni avevi la prima volta che Valentine ti ha aggredito?»
Con una scossa che gli attraversò tutto il corpo, Phillip si allontanò bruscamente.
«Che tu sia maledetta!'» inveì.
«Ti propongo un accordo», replicai. «Tu non rispondi alla mia domanda,io non rispondo alle tue.»
«Hai visto Valentine? Quando?» chiese Phillip con voce soffocata, ansimante.
«Ci sarà anche lui, stanotte? Mi è stato promesso che non ci sarebbe stato.» Era sull'orlo del panico.
Non avevo mai assistito a un terrore tanto improvviso e non volevo che Phillip si spaventasse, altrimenti avrei cominciato a provare pietà per lui e quello non potevo permettermelo. Anita Blake, dura come l'acciaio, sicura di se stessa, insensibile al pianto maschile... «Ti giuro che non ho parlato di te con Valentine.»
«Allora come...» Lui s'interruppe, attirando il mio sguardo. Aveva rimesso gli occhiali da sole. Il suo viso appariva contratto, immoto, fragile, e tutto ciò in un certo senso rovinava la sua immagine.
Non riuscii a sopportare il suo strazio. «Come ho scoperto quello che ti ha fatto?»
In silenzio, Phillip annuì.
«Ho pagato per avere informazioni sul tuo conto, e le ho avute. Dovevo sapere se potevo fidarmi di te.»
«E puoi?»
«Ancora non lo so.»
Phillip trasse alcuni profondi respiri, dapprima con ansia, poi con tranquillità sempre maggiore e infine in maniera rilassata, normale. Ricordai Rebecca Miles e le sue mani piccole, scarne.
«Puoi fidarti di me, Anita. Non ti tradirò, te l'assicuro», dichiarò Phillip, con la voce spaurita di un ragazzino derubato di tutte le sue illusioni.
Anche se non potevo calpestare quel fanciullo smarrito, sapevamo entrambi che lui, per i vampiri, avrebbe fatto qualsiasi cosa, incluso tradire me.
La strada era fiancheggiata da alberi e il cielo era di un azzurro liquido, sbiadito dal calore e dal sole. L'auto percorse rumorosamente l'alto ponte in metallo grigio sul fiume Missouri, che si snodava a perdita d'occhio a nord e a sud. Là, al di sopra delle acque turbinose, l'aria sembrava più pulita, rarefatta. Un piccione si posò sul ponte, accanto a una dozzina di suoi simili che stavano in fila, tutti impettiti. Mi era capitato di vedere gabbiani sul fiume, però mai, neppure uno, nei pressi del ponte, frequentato esclusivamente dai piccioni. Forse ai gabbiani non piacciono le automobili.
«Dove stiamo andando, Phillip?»
«Come?»
Avrei voluto ribattere: È una domanda troppo difficile, per te?, ma mi trattenni, perché sarebbe stato crudele. «Siamo oltre il fiume. Dove siamo diretti?»
«Prendi l'uscita di Zumbe'l e gira a destra.»
Eseguii. Dopo l'uscita, bastava seguire la strada per arrivare all'incrocio.
Al semaforo attesi il verde. A sinistra si scorgevano alcuni negozi, un quartiere residenziale e un terreno alberato, quasi un bosco, dove s'intravedevano alcune case, poi, più oltre, un ospizio e un cimitero piuttosto vasto.
Mi ero sempre chiesta come vivevano i vecchietti quella vicinanza col cimitero, che, peraltro, esisteva da molto più tempo dell'ospizio: alcune lapidi risalivano agli inizi dell'Ottocento. Avevo sempre pensato che il costruttore fosse un sadico, perché le finestre dell'edificio guardavano direttamente sulle alture irte di pietre tombali. Come se la vecchiaia non fosse già un'avvisaglia sufficiente del destino che ci attendeva e ci fosse bisogno di un supporto visivo.
Naturalmente, a Zumbe'l si trovavano anche videonoleggi, negozi di abbigliamento trendy e persino di oggetti in vetro colorato, nonché stazioni di servizio e una vasta zona residenziale denominata Sun Valley Lake. In effetti, un lago esiste, ed è anche abbastanza grande per navigarci a vela, se si è molto prudenti.
In periferia la strada era fiancheggiata di case con giardinetti fitti di grossi alberi, poi valicava una collina. Anche in discesa il limite di velocità era di sessanta all'ora, però era impossibile rispettarlo senza usare i freni.
Era possibile che un poliziotto fosse appostato alla base della collina? E se ci avesse fermati, si sarebbe forse insospettito alla vista delle cicatrici di Phillip, che la canottiera a rete non nascondeva affatto? Dove sta andando, signorina? Mi scusi, agente... Dobbiamo partecipare a un party illegale e siamo già in ritardo... Frenai per tutta la discesa e naturalmente non trovai nessun poliziotto in agguato, tuttavia sono sicura che sarebbe stato là ad attendermi, se non avessi rispettato il limite di velocità. Le leggi di Murphy sono le uniche vere certezze della mia vita.
«È la casa grande sulla sinistra», annunciò Phillip. «Imbocca il vialetto.»
Arrivammo così a un fabbricato in mattoni scuri a tre piani, con molte finestre e almeno due portici, in stile pseudo-vittoriano. Il cortile, ampio, era circondato da una foresta di alberi vetusti. L'erba del prato, troppo alta, conferiva alla proprietà un aspetto assai desolato. Il vialetto ghiaiato serpeggiava tra gli alberi fino a un garage moderno, che era stato progettato per armonizzarsi alla casa, e quasi ci riusciva.
Nel cortile erano parcheggiate soltanto due automobili, ma forse ce n'erano altre nella rimessa, che comunque era chiusa.
«Non lasciare il salone in compagnia di nessuno, tranne me», mi avverù Phillip. «Se lo farai, non potrò aiutarti.»
«Aiutarmi... come?»
«Ti spiego qual è la nostra copertura: tu sei il motivo per cui ho mancato di partecipare a tanti party. Ho lasciato intendere che non soltanto siamo amanti, ma soprattutto che ti ho...» Phillip allargò le braccia, esitando, come se cercasse il termine giusto. «... coltivata, finché non ho giudicato che fossi pronta per partecipare a un party.»
«Coltivata?» Spensi il motore e attesi, nel silenzio, mentre Phillip mi scrutava con tale intensità che anche attraverso le lenti sentivo il peso del suo sguardo. Mi si accapponò la pelle.
«Tu eri riluttante, perché sei sopravvissuta a un'aggressione vera. Non sei una freak, né una junkie, però io ti ho convinta a partecipare a un party.
Ecco quello che dovremo raccontare.»
«Hai mai fatto davvero qualcosa del genere?»
«Portare qualcuno, vuoi dire?»
«Sì.»
«Non hai una gran stima di me, vero?» sbuffò Phillip.
Avrei forse potuto rispondere che non era così? «Se questa è la nostra copertura, allora dovremo fingere per tutta la sera di essere amanti...»
In silenzio, Phillip sorrise. E fu un sorriso insolito, quasi che pregustasse qualcosa.
«Bastardo!»
Prima di rispondere, lui scrollò le spalle e ruotò il collo, come se avesse le spalle contratte. «Non ho intenzione di buttarti sul pavimento e di violentarti, se è questo che ti preoccupa.»
«Lo so.» Fui contenta di non avergli rivelato che ero armata. Forse sarei riuscita a sorprenderlo, quella notte.
Accigliato, Phillip mi fissò. «Assecondami. Se farò qualcosa che ti metterà a disagio, ne discuteremo.» I suoi denti bianchi e regolari spiccarono sull'abbronzatura in un sorriso abbagliante.
«Nessuna discussione: smetterai e basta.»
Di nuovo, Phillip scrollò le spalle. «Rischierai di far saltare la nostra copertura e di farci ammazzare tutti e due.»
L'auto stava diventando troppo calda. Mentre una goccia di sudore mi scorreva sul viso, aprii la portiera e smontai. La calura esterna aderì al mio corpo come una seconda pelle. Tra gli alberi, le cicale intonavano la loro canzone ronzante.
Con la ghiaia che scricchiolava sotto gli stivali, Phillip girò intorno all'auto.
«Forse è meglio che lasci qua il crocifisso...»
Anche se lo avevo previsto, non ne fui per nulla contenta. Comunque, rientrai e mi curvai sul sedile per allungarmi a chiudere il ciondolo nel vano portaoggetti. Poi, nel richiudere la portiera, mi toccai il collo: ero così abituata alla catenina che la sua assenza mi parve strana.
Phillip mi offrì una mano, e io esitai un momento prima di prenderla. Il suo palmo era un concentrato di calore, lievemente umido al centro.
La porta posteriore era ombreggiata da una pergola bianca a volta di fitta clematide dai fiori purpurei grandi come le mie mani, che si offrivano al sole filtrato dagli alberi. Nell'ombra della porta, nascosta ai vicini e alle auto di passaggio, stava una donna pallida, che indossava soltanto un reggiseno e mutandine porpora, reggicalze e calze nere, nonché scarpe dai tacchi a spillo che le allungavano e le snellivano le gambe.
«Mi sento troppo vestita», sussurrai a Phillip.
«Forse non lo rimarrai a lungo», rispose lui, respirandomi nei capelli.
«Non scommetterci la vita», ribattei, alzando lo sguardo al suo viso, che parve sgretolarsi per la confusione. Ma non tardò a riprendersi. Le sue labbra morbide s'incurvarono in un sorriso simile a quello con cui il serpente doveva avere detto a Eva: «Ho qui questa bella mela lustra per te...»
In ogni modo, quale che fosse la merce che Phillip s'illudeva di vendere, io non avrei comprato nulla. Lasciai che mi passasse un braccio intorno alla vita e mi accarezzasse le cicatrici sul braccio, premendo appena un poco coi polpastrelli. Allora lo sentii ansimare. Ma in che razza di guaio mi sono cacciata? pensai.
La donna pallida mi sorrise, fissando coi grandi occhi marroni la mano con cui Phillip mi palpava il tessuto cicatriziale. Si umettò le labbra con la lingua guizzante, mentre il suo seno si alzava e si abbassava.
«Entra nel mio salotto, disse il ragno alla mosca...»
«Come?» chiese Phillip.
Scossi la testa, perché molto probabilmente lui non conosceva la poesia, di cui non riuscivo a ricordare la fine. Più precisamente, non ricordavo se la mosca riuscisse a scappare. Quando Phillip mi accarezzò la schiena nuda, trasalii.
Forse un po' ubriaca, la donna si abbandonò a una risata acuta.
Nel salire i gradini, sussurrai la risposta della mosca: «Oh, no, no... La tua richiesta è vana, perché chiunque sale la tua scala, non può discenderne mai più...»
E l'ultima frase, non può discenderne mai più, mi sembrò alquanto tetra.
 
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