Capitolo 26

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petite88
view post Posted on 21/1/2008, 22:00





26



Avvicinatasi al divano, la donna dai capelli castano-ramati che era arrivata con Edward scivolò in grembo a Phillip, ridacchiò, e poi, agitando i piedi, gli passò le braccia intorno al collo, ma non si mise a palparlo né cercò di spogliarlo. Il party stava migliorando.
Come un'ombra bionda, Edward seguì la donna, con un bicchiere in una mano e un sorriso adeguatamente innocuo sul viso. Se non lo avessi conosciuto, non avrei mai pensato, vedendolo là, in quel momento, che fosse pericoloso. Sedette in equilibrio su un bracciolo del divano, dietro la donna e, con la mano libera, prese a massaggiarle una spalla.
«Anita...» disse Phillip. «Ti presento Darlene.»
Con un cenno della testa salutai Darlene, la quale, ridacchiando, agitò i piedini. «Questo è Teddy. Non è delizioso?»
Teddy? Delizioso? Riuscii a sorridere.
Quando Edward la baciò sul collo, Darlene gli si appoggiò al petto, riuscendo, nel contempo, a dimenarsi in grembo a Phillip.
«Lasciami fare un assaggio...» mormorò Darlene, succhiandosi il labbro inferiore.
Col respiro tremante, Phillip sussurrò: «Sì...»
Ebbi l'impressione che ciò che stava per accadere non mi sarebbe piaciuto affatto.
Con entrambe le mani, Darlene sollevò un braccio di Phillip per accostarlo alla bocca e baciare delicatamente una cicatrice, poi, senza lasciarlo, si lasciò scivolare giù, fra le gambe di lui, inginocchiandosi. La gonna le si arrotolò intorno alla vita, scoprendo il sedere con le mutandine in pizzo rosso e le gambe con le giarrettiere dello stesso colore. Phillip, col viso rilassato e vacuo, la fissava, mentre lei avvicinava di nuovo il suo braccio
alla propria bocca e, con un guizzo della piccola lingua rosea, lo leccava.
Poi Darlene lo guardò coi grandi occhi neri, e sicuramente ciò che vide le piacque parecchio, perché iniziò a leccargli le cicatrici l'una dopo l'altra, delicatamente, senza distogliere lo sguardo dal suo viso.
Gli occhi chiusi, la testa addossata al divano, Phillip fu scosso da uno spasmo. Darlene afferrò la canottiera a rete e tirò, sfilandola dai pantaloni, poi accarezzò il petto nudo.
Con una scossa, Phillip spalancò gli occhi, afferrò i polsi di Darlene e scrollò la testa. «No... No...» disse, con voce roca, troppo profonda.
«Vuoi che smetta?» chiese lei, con gli occhi socchiusi, respirando profondamente a labbra dischiuse, in attesa.
«Se lo facciamo...» Phillip si sforzò di parlare in maniera sensata. «Anita resta sola, indifesa... È il suo primo party...»
Forse per la prima volta, Darlene mi guardò. «Con quelle cicatrici?»
«Sono di un'aggressione vera. L'ho convinta io a partecipare al party.»
Phillip si sfilò le mani della donna dalla canottiera. «Non posso abbandonarla.» Sembrò rimettere a fuoco la vista. «Non conosce le regole.»
«Phillip... Ti prego...» Darlene gli appoggiò la testa sopra una coscia.
«Mi sei mancato...»
«Sai che cosa le farebbero...»
«Teddy la proteggerà. Conosce le regole.»
«Hai già partecipato ad altri party?» domandai.
«Sì.» Edward sostenne il mio sguardo per alcuni secondi, mentre cercavo d'immaginarlo in situazioni simili. Ecco come raccoglieva informazioni sul mondo dei vampiri: si serviva dei freak.
«No...» Phillip si alzò, e, sempre tenendola per i polsi, obbligò Darlene a fare altrettanto. «No», ripeté, in tono sicuro, deciso, prima di lasciarla e di porgermi una mano.
Cos'altro avrei potuto fare? Presi la sua mano calda e sudata, poi, per seguirlo, impacciata dai tacchi alti, fui quasi costretta a rincorrerlo.
Dopo avermi condotta in corridoio e infine in bagno, Phillip chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò, gli occhi chiusi nel viso imperlato di sudore, senza opporsi mentre sfilavo la mia mano dalla sua. Mi guardai intorno, in cerca di un posto su cui sedere, e scelsi il bordo della vasca da bagno.
Per un poco, Phillip respirò profondamente, quindi andò al lavandino e si lavò il viso. Coi capelli e le ciglia imperlati di goccioline, l'acqua che gli colava dal viso sul collo e sul petto, si guardò allo specchio e sgranò gli occhi, apparentemente sgomento.
Mi alzai per prendere un asciugamano e porgerglielo. M'ignorò, perciò gli tamponai il petto con la spugna morbida e profumata.
Infine Phillip mi prese l'asciugamano e finì di asciugarsi. Intorno al viso, i capelli rimasero scuri e bagnati. «L'ho fatto...»
«Sì, l'hai fatto.»
«Ho quasi permesso che lei...»
«Però l'hai fermata, Phillip. È questo che conta.»
Rapidamente, lui annuì. «Credo di sì...» Sembrava ancora senza fiato.
«Sarebbe meglio tornare di là, adesso...»
Phillip annuì di nuovo, però rimase immobile, a respirare profondamente, come se l'ossigeno non gli bastasse mai.
«Ti senti bene?» Era una domanda stupida, ma non sapevo che altro dire.
Lui fece un cenno affermativo col capo, in silenzio.
«Vuoi andartene?»
«È la seconda volta che me lo proponi.» Mi guardò. «Perché?»
«Perché cosa?»
«Perché mi proponi di andarmene e di non mantenere la mia promessa?»
«Perché...» Mi strinsi nelle spalle e mi massaggiai le braccia. «Perché mi sembra che tu stia soffrendo... Sembri un drogato che sta cercando di liberarsi della sua dipendenza. E io non voglio rovinare tutto.»
«Questo è davvero molto... generoso da parte tua», rispose Phillip, pronunciando la parola «generoso» come se non fosse abituato a servirsene.
«Allora, vuoi andartene?»
«Sì, ma... Non possiamo.»
«Lo hai già detto. Perché non possiamo?»
«Non posso, Anita. Io non posso.»
«Sì, che puoi. Da chi prendi ordini, Phillip? Dimmelo... Che cosa sta succedendo?» Gli stavo così vicina da sfiorarlo e gli sputavo le parole contro il petto, la testa sollevata a guardarlo in viso. È sempre difficile mostrarsi duri quando si è costretti a guardare l'interlocutore dal basso, ma io ormai ci sono abituata.
Phillip mi accarezzò le spalle con una mano, e quando cercai di scostarmi da lui, mi abbracciò.
«Smettila...» Per impedire al suo corpo di aderire al mio, spinsi con le mani contro il suo petto, sentendo la rete fradicia, fredda, e il cuore palpitante.
A fatica, deglutii. «Hai la maglia bagnata...»
Tanto bruscamente da farmi barcollare all'indietro, Phillip mi lasciò e, in un unico movimento fluido, si sfilò la canottiera. Naturalmente era allenato a spogliarsi, e avrebbe avuto un torace molto bello, se non fosse stato per le cicatrici. Avanzò di un passo nella mia direzione.
«Basta... Fermo dove sei! Perché questo improvviso cambiamento d'umore?»
«Mi piaci. Non è abbastanza?»
Scossi la testa. «No.» Quando lui la lasciò, guardai la canottiera cadere sul pavimento, come se quel fatto fosse importante. Poi, in due passi, lui mi fu accanto. Reagii nell'unico modo che riuscii a escogitare: entrai nella vasca. Non fu molto dignitoso, ma almeno evitai il contatto col petto di Phillip.
«Qualcuno ci sta osservando.»
Come in un film horror di serie B, mi girai, molto lentamente. Dal crepuscolo che filtrava attraverso le tende sottili, Harvey ci guardava.
Data l'altezza delle finestre, doveva essere montato sopra una cassa, o forse ciascuna finestra era munita di un palchetto per permettere di assistere agli spettacoli che si svolgevano in ogni ambiente della casa.
Lasciando che Phillip mi aiutasse a uscire dalla vasca da bagno, sussurrai:
«Può sentirci?»
Nell'abbracciarmi di nuovo, lui scosse la testa. «Ho detto che siamo amanti.
Vuoi che Harvey smetta di crederlo?»
«Questo è un ricatto.»
Per tutta risposta, Phillip mi abbagliò con un sorriso sensuale. Poi si curvò e, sebbene fossi inquieta, non lo fermai. Il bacio mantenne tutte le promesse: labbra morbide, peso caldo e carezzevole, mentre le mani mi massaggiavano tutta la schiena sino a farmi rilassare. Sentii il suo respiro caldo mentre mi baciava il lobo di un orecchio, mi dardeggiava la lingua lungo la mascella, trovava il pulsare della carotide e mi leccava come se volesse
sciogliermi la lingua nella carne. I denti raschiarono la pelle pulsante e vi affondarono dolorosamente.
«Merda!» Lo respinsi. «Mi hai morso!»
Stordito, Phillip aveva gli occhi appannati e una goccia cremisi sul labbro inferiore.
Mi toccai il collo e mi guardai le dita: erano insanguinate. «Dannazione!»
«Credo che lo spettacolo abbia convinto Harvey.» Phillip si leccò il mio sangue dal labbro. «Adesso sei segnata. È la prova di ciò che sei e del motivo per cui sei qui.» Trasse un lungo respiro tremante. «Non è più necessario che ti tocchi, per stanotte, e farò in modo che nessun altro lo faccia.
Lo giuro.»
Un morso! Un maledetto morso! Mi sentivo pulsare il collo. Dopo averlo allontanato con una spinta, mi lavai la ferita, che aveva esattamente l'aspetto di ciò che era: il morso di una dentatura umana, non perfetta, ma quasi. «Dannazione!»
«Adesso dobbiamo uscire, in modo che tu possa indagare.» Phillip raccolse la canottiera dal pavimento e rimase immobile, il busto nudo e abbronzato, le gambe fasciate dai calzoni di pelle, le labbra gonfie come se avesse succhiato qualcosa. In effetti, aveva succhiato me.
«Sembri il modello di una pubblicità per un'agenzia di accompagnatori.»
Lui scrollò le spalle. «Sei pronta?»
Sempre intenta a lavare la ferita, cercavo di arrabbiarmi e non ci riuscivo.
Ero spaventata, invece: avevo paura di Phillip e di quello che era, o di quello che non era. Non lo avevo previsto. Aveva ragione? Sarei stata dunque al sicuro per il resto della notte? Oppure aveva voluto soltanto assaggiare il mio sapore?
Dopo avere aperto la porta, Phillip mi aspettò. Finalmente uscii. Poi, nel tornare in soggiorno, mi resi conto che lui, distraendomi, aveva evitato di rispondere alla mia domanda. Per chi stava lavorando? Ancora non lo sapevo.
Era davvero imbarazzante riconoscere che, non appena lui si denudava il torace, il mio cervello andava in vacanza. Tuttavia non sarebbe accaduto mai più: avevo ricevuto il mio primo e ultimo bacio da Phillip, il junkie coperto di cicatrici. A partire da quel momento, non avrei più smesso di essere la cacciatrice di vampiri, dura come l'acciaio. In altre parole, non mi sarei più lasciata distrarre dai muscoli guizzanti o dai begli occhi.
Mi toccai il morso sul collo: doleva. Se Phillip mi si fosse avvicinato di nuovo, avrei reagito con violenza. Anche se, conoscendolo, probabilmente gli sarebbe piaciuto.
 
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