Capitolo 32

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 22:03





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Il mio sonno fu interrotto da una serie di strilli fragorosi come l'antifurto di un'automobile. Quando lo scossi con la mano aperta, però, l'orologio, misericordiosamente, tacque. Sbattendo le palpebre, lo guardai a occhi socchiusi: le nove. Dannazione! Avevo dimenticato di disattivare la sveglia!
Avevo il tempo di vestirmi e di andare in chiesa, però non volevo alzarmi e neppure andare in chiesa. Dio mi avrebbe perdonato, per una volta.
D'altra parte, avevo bisogno di tutto l'aiuto che potevo ottenere. Forse mi sarebbe stata persino concessa una rivelazione, e tutti i frammenti si sarebbero composti in un'immagine chiara e coerente. Mi era già successo in precedenza. L'aiuto divino non è qualcosa cui mi affido, di solito, però ogni tanto, in chiesa, riesco a riflettere meglio. Quando il mondo è infestato di vampiri e di esseri malvagi, e un crocifisso benedetto può essere tutto ciò che separa una persona dalla morte, allora la Chiesa appare sotto una luce diversa, per così dire.
Mentre strisciavo verso il bordo del letto, gemendo, il telefono squillò.
Mi alzai a sedere, in attesa che la segreteria telefonica intervenisse, e così fu.
«Anita... Sono il sergente Storr... È stato assassinato un altro vampiro...»
Sollevai il ricevitore. «Ciao, Dolph.»
«Bene. Sono contento che tu non sia già uscita per andare in chiesa.»
«Hai detto che è stato eliminato un altro vampiro?»
«Mmm...»
«Come nei casi precedenti?»
«A quanto pare. Ho bisogno che tu venga a vedere.»
«Certo... Quando?»
«Subito.»
Sospirai: addio chiesa! La polizia non poteva certo lasciare il cadavere sulla scena del crimine fino a mezzogiorno, o anche più tardi, soltanto per i miei begli occhi. «Dammi l'indirizzo... Aspetta... Lasciami trovare una penna che scrive...» Tenevo sempre un taccuino sul comodino, ma la penna si era scaricata senza che me ne accorgessi. «Okay... Spara...» Dolph mi diede l'indirizzo di un luogo che si trovava a non più di un isolato dal Circo dei Dannati. «È al margine del Distretto... Nessuno degli omicidi precedenti è stato commesso tanto lontano da Riverfront...»
«È vero», confermò Dolph.
«Cosa c'è di diverso, stavolta?»
«Lo vedrai quando sarai qui.»
«Benissimo. Arriverò fra mezz'ora.»
«Ci vediamo.» E riappese.
«Be', buongiorno a te, Dolph!» dissi al ricevitore. Forse neanche lui era mattiniero.
Le ferite alle mani si stavano rimarginando rapidamente, così non mi preoccupai di sostituire i cerotti intrisi di sangue di capra che avevo tolto la notte precedente. Una grossa benda proteggeva il taglio al braccio sinistro: lì non potevo più permettermi di essere ferita, perché non c'era più spazio.
Sul collo, intorno al morso, si stava formando un livido che sembrava il succhiotto più grosso del mondo. Se Zerbrowski lo avesse visto, non me l'avrebbe lasciata passare liscia, così lo coprii con un cerotto, e sembrò che volessi nascondere un morso di vampiro. Che si scatenino pure: non è affar loro.
Indossai una polo rossa infilata nei jeans, le mie Nike, e la pistola nel kit ascellare con doppio portacaricatore, cioè ventisei pallottole. In verità, le sparatorie, nella maggior parte dei casi, si risolvono prima di esaurire gli otto colpi di un caricatore. D'altronde, c'è sempre una prima volta...
Presi anche uno sgargiante giubbotto giallo in pelle scamosciata che avrei indossato soltanto se la pistola avesse innervosito la gente. In ogni modo, collaboravo coi poliziotti e, se loro non nascondevano le armi, perché avrei dovuto farlo io? E poi, ero stanca di giocare: che quei bastardi là fuori sapessero che ero armata e pronta a difendermi.
Ci sono sempre troppe persone sulla scena di un delitto, e non mi riferisco ai curiosi - che è normale trovare lì, dato che la morte altrui ha sempre qualcosa di affascinante -, bensì ai poliziotti, soprattutto ai detective e agli agenti in uniforme: insomma, c'è sempre troppa polizia per un unico, piccolo omicidio.
Anche in quel caso, non mancava un furgone di una rete televisiva, con una grossa antenna satellitare che sembrava il cannone a raggi di un film di fantascienza degli anni '40. Avrei scommesso che ne sarebbero arrivati altri, anzi mi chiesi come la polizia fosse riuscita a mantenere tranquille le acque tanto a lungo.
Vampiri assassinati... uno scoop fantastico! Non c'era neppure bisogno d'inventare qualcosa per rendere il caso più bizzarro.
Girai alla larga, in modo che la folla mi nascondesse alla telecamera, mentre un cronista dai corti capelli biondi e dal completo elegante ficcava un microfono sotto il naso di Dolph. Dovevo rimanere accanto ai macabri resti della vittima e allora non avrei corso rischi perché, anche se fossi stata inquadrata, quella ripresa non sarebbe mai stata trasmessa. Era una questione di buon gusto.
Possedevo un tesserino plastificato, completo di fotografia, che mi consentiva di accedere alla scena del delitto: quando lo appendevo al vestito, mi sentivo sempre come una giovane agente federale.
Al nastro giallo che delimitava la zona delle indagini, un agente in uniforme mi fermò, osservando per alcuni istanti la mia foto come se stesse cercando di decidere se fossi kosher o no. Mi avrebbe lasciata passare, oppure avrebbe avvertito un detective?
Attesi con le braccia lungo i fianchi, cercando di apparire innocua, una cosa che mi riesce bene: sono capace di sembrare molto carina e simpatica.
Quando l'agente sollevò il nastro per lasciarmi passare, resistetti alla tentazione di esclamare: «Bravo ragazzo!» e dissi invece: «Grazie».
Il cadavere giaceva presso un lampione, a gambe divaricate, con un braccio probabilmente fratturato, piegato e torto sotto il busto. La zona centrale della schiena era stata asportata, come se qualcuno l'avesse strappata via dopo avervi affondato una mano. Sicuramente mancava il cuore, come nei casi precedenti.
Accanto alla vittima stava il detective Perry, un nero alto e snello, che era il membro più recente della Spook Squad. Era sempre così tranquillo e cordiale... mi era impossibile immaginare che fosse stato capace di comportarsi in maniera tale da far incazzare qualcuno. D'altra parte, nessuno veniva assegnato a quella squadra senza un motivo.
«Salve, Miss Blake», mi salutò Perry, sollevando lo sguardo dal taccuino.
«Salve, detective Perry.»
«Il sergente Storr ci ha avvertiti del suo arrivo», sorrise Perry.
«Tutti gli altri hanno finito col cadavere?»
Il detective annuì. «È tutto suo.»
Mi accovacciai vicino alla pozza scura che si allargava sotto il cadavere.
Il sangue coagulato aveva ormai una consistenza viscosa, e il rigor mortis, ammesso che si fosse manifestato, era ormai scomparso. Non sempre i vampiri reagiscono alla «morte» in maniera simile agli esseri umani, quindi, nel loro caso, è molto più difficile stabilire l'ora del decesso. Comunque tale compito spetta al medico legale, non a me.
Il luminoso sole estivo opprimeva il cadavere. In base alla forma del corpo e alla foggia dei pantaloni del completo nero, avrei scommesso che si trattava di una donna, ma era piuttosto difficile stabilirlo, perché la vittima giaceva bocconi, aveva il dorso sfondato ed era decapitata. La spina dorsale biancheggiava. Come vino rosso da una bottiglia spezzata, il sangue era sgorgato dal collo lacerato e ritorto: sembrava che la testa fosse
stata letteralmente tirata via con un poderoso strattone.
Faticai parecchio a deglutire. Da mesi non mi capitava di provare una simile nausea guardando la vittima di un omicidio. Mi alzai e mi allontanai di qualche metro.
Era mai possibile che quella fosse opera di un essere umano? No... O forse... Se era l'opera di un essere umano, allora l'assassino si era dato da fare parecchio per far sembrare che non fosse così.
Nonostante le apparenze, nei casi precedenti il medico legale aveva sempre individuato ferite di arma da taglio, anche se era stato impossibile stabilire se fossero state inferte prima o dopo la morte. Avevamo a che fare con un essere umano che cercava di farsi passare per un mostro, oppure con un mostro che voleva essere scambiato per un essere umano?
«Dov'è la testa?» chiesi.
«È sicura di sentirsi bene?»
Ero forse impallidita? Guardai Perry. «Sto benissimo.» Io, esperta e incallita cacciatrice di vampiri, non vomito alla vista di nessuna testa decapitata.
Poco ma sicuro.
Perry inarcò le sopracciglia, ma era troppo educato per insistere. Mi condusse lungo il marciapiede, a un paio di metri di distanza, dove qualcuno aveva coperto con un sacco di plastica la testa, intorno alla quale si era formata una piccola pozza di sangue coagulato; poi si curvò ad afferrare il sacco. «Pronta?»
Dato che non mi fidavo affatto della mia voce, mi limitai ad annuire.
Con un gesto teatrale, da prestigiatore, Perry sollevò il sacco di plastica.
La lunga chioma nera, incrostata di sangue vischioso, volteggiò intorno al volto pallido, che un tempo era stato attraente, ma ormai non lo era più: nella loro irrealtà, i lineamenti apparivano vacui, quasi quanto quelli di una bambola.
La mia mente impiegò alcuni secondi a registrare ciò che gli occhi avevano percepito. «Merda!»
«Che c'è?»
Mi affrettai ad alzarmi e a indietreggiare.
Il detective mi si avvicinò. «Tutto bene?»
Lanciai un'altra occhiata alla testa, che ormai era di novo coperta dal sacco. Se stavo bene? Bella domanda. Il fatto era che potevo identificare la vittima.
Si trattava di Theresa.
 
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