Capitolo 33

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 22:07





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Poco prima delle undici, arrivai all'ufficio di Ronnie, ma indugiai, con la mano sulla maniglia, incapace di cancellare dalla mente il ricordo della testa di Theresa sul marciapiede. Era stata crudele, e probabilmente aveva ucciso centinaia di esseri umani. Perché dunque provavo pietà per lei? Per stupidità, suppongo. Inspirai profondamente e aprii la porta.
L'ufficio di Ronnie è tutto finestre, quindi riceve luce sia da sud sia da ovest e, nel pomeriggio, sembra un forno, perché nessun condizionatore è in grado di sopraffare tanta energia solare. Inoltre, se proprio si vuole ammirare il panorama, si affaccia proprio sul Distretto.
Nella luminosità quasi accecante dell'ufficio, Ronnie mi accolse con un cenno di saluto.
Sopra una poltrona di fronte alla scrivania sedeva una donna orientale di corporatura delicata, coi capelli neri e lustri accuratamente acconciati a porre in risalto il viso. Indossava una lucida camicetta lavanda che attirava l'attenzione sull'ombretto dello stesso colore steso sugli occhi a mandorla e una gonna porpora come la giacca accuratamente ripiegata sul bracciolo.
Seduta lì, con le mani in grembo e le caviglie incrociate, appariva fresca nonostante il caldo soffocante.
Fui colta alla sprovvista nel trovarmela di fronte all'improvviso, dopo tanti anni. Finalmente chiusi la bocca spalancata e mi avvicinai, porgendo la mano. «Beverly... Quanto tempo è passato...»
Beverly si alzò e rispose alla mia stretta con la sua mano fredda. «Tre anni», disse, con la precisione che la caratterizzava in tutto e per tutto.
«Voi due vi conoscete?» chiese Ronnie.
Mi rivolsi a lei. «Bev non te lo ha detto?»
Ronnie scosse la testa.
Fissai Beverly. «Perché non lo hai detto a Ronnie?»
«Non l'ho giudicato necessario.» Bev fu costretta a sollevare il mento per guardarmi negli occhi. Non sono molte le persone che devono farlo.
Mi accade tanto di rado che mi procura sempre una strana sensazione, come se fossi tenuta ad abbassarmi per compensare la differenza di altezza.
«Una di voi due vuole dirmi come mai vi conoscete?» Ronnie girò intorno alla scrivania, sedette, reclinò all'indietro la poltrona, incrociò le braccia sul petto, e attese. I suoi limpidi occhi grigi, morbidi come la pelliccia di una gattina, fissavano me.
«Ti spiace, Bev, se lo racconto io?»
Con la sua tipica grazia, Bev si risedette. La sua dignità da vera signora,
nel significato migliore della definizione, mi aveva sempre impressionato.
«Se lo ritieni necessario, non ho obiezioni.»
Alla faccia dell'entusiasmo, pensai, ma dovevo accontentarmi. Nel lasciarmi cadere sull'altra poltrona, fui perfettamente consapevole dei miei jeans e delle mie scarpe sportive: a paragone con l'abbigliamento di Bev, mi sentivo una ragazzina trasandata. Ma fu soltanto l'imbarazzo di un momento.
Come disse Eleanor Roosevelt: nessuno può farvi sentire inferiore senza il vostro consenso. È una citazione alla quale cerco d'ispirarmi, e spesso ci riesco.
«La famiglia di Bev è stata aggredita da una banda di vampiri: soltanto lei è sopravvissuta. Io facevo parte della squadra che ha eliminato i vampiri.» Raccontai in sintesi la vicenda: un resoconto preciso e maledettamente pieno di omissioni, soprattutto sulle esperienze e sugli eventi dolorosi.
«Quello che Anita non ha detto è che mi ha salvato la vita rischiando la propria», aggiunse Bev, nel suo tono pacato. Poi abbassò lo sguardo sulle mani che teneva di nuovo in grembo.
Rammentai la prima volta che avevo visto Beverly Chin. Una gamba pallida che percuoteva il pavimento; il lampeggiare delle zanne mentre il vampiro sollevava la testa per affondarle; il balenio di un volto pallido e strillante incorniciato di capelli neri; l'urlo di puro terrore; la mia mano che, mancando il tempo per infliggere una ferita mortale, scagliava un pugnale dalla lama d'argento a conficcarsi in una spalla del vampiro; il mostro che balzava in piedi per aggredirmi, ruggendo; io che l'affrontavo, sola, con l'ultimo pugnale che mi restava, la pistola ormai scarica.
Ricordai inoltre Beverly Chin che martellava un candeliere d'argento sulla testa del vampiro, già curvo ad alitarmi il suo fiato caldo sul collo.
Per settimane avevano echeggiato nei miei sogni gli strilli che la ragazza aveva lanciato nel colpire più e più volte, sino a ridurre la testa del vampiro a una poltiglia sanguinolenta di ossa e di materia cerebrale sparpagliata sul pavimento.
Condividemmo questo ricordo senza parlare. Ognuna aveva salvato la vita all'altra: un legame che unisce profondamente. L'amicizia può sbiadire, ma restano sempre un obbligo, e una conoscenza forgiata nel terrore, nel sangue, nella violenza condivisa, che non si dissolvono mai. Tutto ciò ci univa ancora dopo tre lunghi anni, saldamente e percettibilmente.
Essendo una donna perspicace, Ronnie interruppe il silenzio imbarazzato.
«Bevete qualcosa?»
«Niente di alcolico.» Bev e io rispondemmo insieme, e insieme ridemmo, sciogliendo la tensione. Non saremmo mai diventate vere amiche, ma forse l'una avrebbe potuto smettere di considerare l'altra come uno spettro del passato.
Quando Ronnie portò due Diet Coke, feci una smorfia, però ne presi una, perché sapevo che non teneva altro nel piccolo frigorifero dell'ufficio.
Durante una discussione a proposito delle bevande dietetiche, lei aveva giurato che quel sapore le piaceva. Con grazia, Bev prese l'altra Diet Coke: forse era proprio una delle bibite che consumava abitualmente. Quanto a me, preferisco sempre qualcosa che ha un po' di sapore, anche se fa ingrassare.
«Al telefono, Ronnie mi ha parlato della possibile esistenza di una squadra della morte connessa alla HAV», dissi. «È vero?»
«Non ne sono certa.» Bev fissò la lattina, sotto la quale teneva una mano aperta, in modo da non macchiarsi la gonna. «Però credo che sia vero.»
«Puoi riferirmi cos'hai sentito dire?»
«Qualche tempo fa, si è parlato di organizzare una squadra per dare la caccia ai vampiri e per ucciderli, come loro hanno ucciso i nostri... familiari.
Il presidente, com'è ovvio, si è opposto al progetto, perché noi operiamo nel rispetto delle leggi. Non siamo giustizieri.» Bev pronunciò le ultime frasi in tono quasi interrogativo, come se tentasse di convincere se stessa, prima ancora che noi. Era scossa da quello che poteva essere accaduto: ancora una volta il suo piccolo mondo ordinato minacciava di crollare. «Di recente, però, ho sentito dire che alcuni membri della nostra associazione si sono vantati di avere eliminato alcuni vampiri.»
«E come lo avrebbero fatto?» chiesi.
Esitante, Bev mi guardò. «Non lo so...»
«Non hai nemmeno un indizio?»
Bev scosse la testa. «Però credo di poterlo scoprire, se vuoi. È importante?»
«La polizia ha taciuto all'opinione pubblica alcuni dettagli di cui soltanto l'assassino può essere a conoscenza.»
«Capisco...» Bev abbassò gli occhi sulla lattina che teneva in mano, poi guardò di nuovo me. «Credo che non si tratterebbe di omicidio neppure se i membri della mia associazione avessero agito come sostiene la stampa: eliminare mostri pericolosi non dovrebbe essere considerato un crimine.»
In passato, ero stata completamente d'accordo con Bev. Adesso lo ero ancora, ma solo in parte. «Ma perché sei disposta ad aiutarci?»
Con gli occhi scuri, quasi neri, Bev mi scrutò. «Te lo devo.»
«Anche tu mi hai salvato la vita, perciò non mi devi nulla.»
«Ci sarà sempre un debito, fra noi. Sempre.»
Scrutandola a mia volta, compresi. Bev mi aveva implorato di non dire a nessuno che aveva maciullato la testa del vampiro. La scoperta di essere capace di commettere una violenza simile, quale che ne fosse la motivazione, probabilmente l'aveva riempita di orrore. Ecco perché avevo dichiarato alla polizia che lei aveva distratto il vampiro, offrendomi l'opportunità di eliminarlo, e lei, per quella piccola bugia a fin di bene, mi aveva dimostrato una gratitudine sproporzionata. Forse, se nessun altro ne era a conoscenza, poteva fingere che non fosse mai accaduto...
Alzandosi, Bev si rassettò la gonna, quindi posò la lattina sul bordo della scrivania. «Quando avrò scoperto qualcosa, lascerò un messaggio a Ms. Sims.»
Annuii. «Ti sono molto grata per quello che stai facendo.» Forse Bev si accingeva a tradire la sua causa per aiutarmi.
«La violenza non è mai la risposta», dichiarò Bev, con la giacca porpora drappeggiata su un braccio e la borsetta stretta fra le mani. «Dobbiamo agire nel rispetto delle leggi. La HAV sta dalla parte della legge e dell'ordine, non dei vigilanti e di coloro che li sostengono.»
Sembrava un discorso preregistrato, ma lasciai correre: ognuno di noi ha bisogno di qualcosa in cui credere.
Con la sua mano fredda e asciutta, Bev scambiò una stretta sia con me sia con Ronnie. Attraversò l'ufficio mantenendo molto eretta la schiena dalle spalle sottili e chiuse la porta con decisione, ma silenziosamente. Osservandola, non si sarebbe mai detto che fosse stata vittima di una violenza estrema, e forse era proprio quello che lei voleva. Chi ero io per criticarla?
«Okay», disse Ronnie. «Adesso aggiornami. Che cos'hai scoperto?»
«Come sai che ho scoperto qualcosa?» «Entrando qui mi sei sembrata piuttosto avvilita.» «Grande... E io che m'illudevo di riuscire a nasconderlo!»
«Non preoccuparti.» Ronnie mi strinse affettuosamente un braccio. «È soltanto che ti conosco troppo bene.»
Annuii, accettando la spiegazione per quello che era, cioè una stronzata confortante. Poi le raccontai della morte di Theresa e di tutto il resto, tranne i sogni con Jean-Claude, che erano qualcosa di particolarmente intimo.
Con un fischio, Ronnie commentò: «Dannazione! Ti sei data da fare!
Credi che si tratti di una squadra della morte composta di umani?»
«Ti riferisci alla HAV?»
Lei annuì.
Sospirai profondamente. «Non lo so... Se sono umani, non ho la più pallida idea di come possano riuscirci. Per strappare una testa occorre una forza sovrumana.»
«Una persona eccezionalmente forte?»
Mi balenò in mente l'immagine delle braccia enormi di Winter. «Può anche darsi... Però, una forza del genere...»
«Sotto pressione, anche una vecchietta potrebbe sollevare un'automobile...»
Era vero. «Ti piacerebbe visitare la Chiesa della Vita Eterna?»
«Stai pensando di aderire?»
La fissai, accigliata.
«Okay, okay!» rise lei. «Piantala di guardarmi male! Perché vuoi andarci?»
«La notte scorsa alcuni eternali armati di mazze hanno assaltato la casa in cui era in corso il freak party. Non dico che avessero intenzione di ammazzare nessuno, però, quando si comincia a picchiare...» Scrollai le spalle.
«Può capitare qualche incidente...»
«Credi che dietro questa faccenda possa esserci la chiesa?»
«Non lo so, ma se gli eternali odiano i freak abbastanza per irrompere ai loro party, può darsi che il loro odio li spinga anche a uccidere...»
«Però i membri della chiesa sono in gran parte vampiri...»
«Esatto. Dunque sono dotati di forza sovrumana e hanno la possibilità di avvicinare le vittime.»
«Non male, Blake...» sorrise Ronnie. «Non male...»
M'inchinai. «Adesso non ci resta altro da fare che dimostrarlo...»
Con gli occhi ancora luccicanti d'ironia, lei replicò: «Sempre che siano davvero colpevoli, naturalmente...»
«Oh, piantala! Se non altro, è un punto di partenza.»
«Ehi...» Ronnie allargò le braccia. «Non mi sto mica lamentando! Come diceva sempre mio padre: 'Non criticare mai, se non sei capace di far meglio'!»
«Neanche tu hai la minima idea di ciò che sta succedendo, vero?» Ronnie smise di scherzare. «Però lo vorrei.»
Anch'io l'avrei voluto.
 
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