Capitolo 34

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 22:14





34



Anche se il tempio principale si trovava nei pressi di Page Avenue, non lontano dal Distretto, la Chiesa della Vita Eterna non amava essere associata alla marmaglia che frequentava gli strip-club di vampiri e il Circo dei Dannati. Nossignore, gli eternali si consideravano redivivi tradizionalisti e conformisti.
Il tempio, che nel caldo sole di luglio splendeva come una luna precipitata sulla terra, era situata in un vasto campo spoglio, dove alcuni alberelli lottavano per crescere abbastanza da ombreggiarne il bianco abbagliante.
«Bella», commentò Ronnie, facendo un cenno col capo verso la chiesa.
Scrollai le spalle. «Se lo dici tu... Francamente, non sono mai riuscita ad abituarmi all'effetto generale...»
«Effetto generale?»
«I vetri istoriati non raffigurano episodi della vita di Cristo, né santi, né simboli sacri: sono composizioni astratte. L'edificio è immacolato come un abito da sposa appena scartato.»
Infilando gli occhiali da sole, Ronnie smontò dall'auto, poi, con le braccia incrociate sul petto, osservò il tempio. «Sì, sembra proprio un abito appena scartato, e senza guarnizioni.»
«Già... Una chiesa senza Dio...»
«Ci sarà qualcuno, a quest'ora?»
«Certo. Di giorno gli eternali si recano a fare proseliti.»
«Proseliti?»
«Già, vanno di porta in porta come i mormoni e i testimoni di Geova.»
«Stai scherzando?» Ronnie mi fissò.
«Ho l'aria di scherzare?»
«Vampiri porta a porta...» Ronnie scosse la testa e agitò le mani. «Molto... conveniente...»
«Andiamo a vedere chi c'è in ufficio...»
Una gradinata bianca saliva alla porta parzialmente aperta, alla quale era affisso il cartello: A fatica, resistetti all'impulso di strapparlo e di calpestarlo.
Gli eternali sfruttavano una delle paure fondamentali dell'essere umano: quella della morte. Tutti hanno paura della morte. Per chi non crede in Dio, non è facile rassegnarsi alla morte come a un puro, semplice e definitivo annullamento dell'esistenza. La Chiesa della Vita Eterna promette ciò che il suo stesso nome offre, e può dimostrare di mantenere la promessa. Non occorre avere fede, non c'è bisogno di attendere, nessuna domanda rimane senza risposta. Si vuol sapere che cosa si prova a essere morti? Basta chiederlo
a un confratello eternale.
Inoltre, gli eternali non invecchiano e non hanno bisogno di plastiche facciali o di liposuzioni: possono godersi un'eterna giovinezza. Non è un cattivo affare, se non si crede nell'anima, o più precisamente se non si crede che l'anima rimanga intrappolata nel corpo del vampiro e dunque non possa mai essere accolta in paradiso, oppure, peggio ancora, che i vampiri siano intrinsecamente malvagi e perciò condannati all'inferno. La Chiesa cattolica considera il vampirismo volontario come una sorta di suicidio, e io sono abbastanza d'accordo, benché il papa abbia scomunicato anche tutti i risveglianti, tranne coloro che rinunciano a resuscitare i morti. Così sono diventata episcopale.
I banchi in legno lucido erano disposti in due larghe schiere di fronte a una parete azzurra, circondata da alte mura bianche, paragonabile più a un pulpito che all'altare. Filtrato dalle vetrate istoriate rosse e azzurre, il sole cadeva scintillando sul pavimento bianco, disegnando forme di colori delicati.
«È tranquillo...» commentò Ronnie.
«Lo sono anche i cimiteri.»
«Mi aspettavo che lo dicessi», sorrise lei.
Accigliata, la fissai. «Non scherzare. Siamo qui per lavoro.»
«Cosa vuoi che faccia, esattamente?»
«Stammi vicino, cerca di assumere un aspetto minaccioso, se ti riesce, e intanto cerca indizi.»
«Indizi?»
«Già... Scontrini, appunti semidistrutti dal fuoco... Cose così...»
«Ah, ecco...»
«Piantala di sorridere, Ronnie.»
Aggiustandosi gli occhiali sul naso, Ronnie assunse il suo aspetto più gelido e distaccato. In quello è davvero brava: ho visto delinquenti incalliti farsela sotto a venti passi di distanza. Ebbene, non avremmo tardato a scoprire quale sarebbe stata la reazione degli eternali.
Una porticina a lato del «pulpito» conduceva a un corridoio con una passatoia.
Sulla sinistra c'erano i bagni, sulla destra una porta aperta su una stanza. Era forse la saletta in cui si serviva... il caffè dopo la funzione? No, probabilmente non si serviva il caffè... Un sermone esaltante seguito da un po' di sangue, magari?
Una piccola insegna indicava: Nell'anticamera trovammo la classica scrivania della segretaria, alla quale sedeva però un giovane snello, coi capelli castani, corti e ben tagliati, gli occhi marroni davvero belli dietro un paio di occhiali dalla montatura in acciaio, e sulla gola un morso in via di guarigione. Subito si alzò, sorridendo, e girò intorno alla scrivania per porgerci la mano. «Salve, amiche! Sono Bruce. In cosa posso esservi utile?»
La sua stretta fu decisa, ma non troppo, vigorosa, ma non troppo, cordialmente prolungata ma non sensuale: insomma, una bella stretta di mano da venditore d'auto veramente in gamba, o magari da agente immobiliare. Se i suoi grandi occhi fossero sembrati più sinceri, gli avrei offerto un biscotto per cani e accarezzato la testa.
«Vorrei prendere appuntamento per parlare con Malcolm», annunciai.
Bruce sbatté le palpebre. «Accomodatevi, prego...»
Mentre io sedevo, Ronnie si addossò alla parete accanto alla porta, con le mani incrociate, nell'atteggiamento freddo e protettivo della guardia del corpo.
Dopo averci offerto un caffè, Bruce sedette di nuovo alla scrivania e giunse le mani. «E ora, Mrs...»
«Miss Blake.»
Nell'udire il mio nome, Bruce non trasalì minimamente: a quanto pareva, non aveva mai sentito parlare di me. Quanto è fugace la fama! «Mi dica, Miss Blake... Perché desidera incontrare il capo della nostra Chiesa? Abbiamo consulenti molto competenti e comprensivi che saranno lieti di aiutarla a prendere la sua decisione...»
Ci scommetto, imbonitore da strapazzo! pensai, ma sorrisi. «Credo che Malcolm sarà ben disposto a parlare con me. Posso fornire informazioni sugli omicidi dei vampiri.»
Il sorriso di Bruce vacillò. «In tal caso, dovrebbe recarsi alla polizia.»
«Anche se ho le prove che gli assassini sono alcuni seguaci della vostra Chiesa?»
Premendo le dita sulla scrivania fino a sbiancare i polpastrelli, Bruce deglutì.
«Non capisco... Voglio dire...»
Sorrisi di nuovo. «Diciamola tutta, Bruce. Lei non è preparato ad affrontare una situazione di questo genere. Non è contemplata nel suo addestramento, vero?»
«Be', no... Ma...»
«Allora mi fissi un appuntamento per incontrare Malcolm, stasera.»
«Non saprei... Io...»
«Non si preoccupi. Malcolm è il capo della Chiesa. Se ne occuperà lui.»
Bruce annuì un po' troppo rapidamente. Dopo avere lanciato un'occhiata a Ronnie, guardò di nuovo me, infine consultò l'agenda rilegata inpelle che stava sulla scrivania. «Stasera, alle nove.» Raccolse una penna e la tenne sollevata, pronto a trascrivere. «Se vuole dirmi nome e cognome, lascio un appunto a matita...»
Anziché osservare che non stava affatto per servirsi di una matita, lasciai correre. «Anita Blake.»
Neppure dal nome completo Bruce mi riconobbe, liquidando la mia illusione di essere il terrore di Vampirolandia. «E desidera discutere di...?» chiese, riacquistando la sua professionalità.
Mi alzai. «Di omicidio. Vorrei discutere di omicidio.»
«Oh, sì... Io...» Bruce scribacchiò un appunto. «Stasera, alle nove, dunque...
Anita Blake... Omicidio...» Accigliato, scrutò la nota come se contenesse qualcosa di strano.
Decisi di soccorrerlo. «Non si preoccupi. Ha capito perfettamente.»
Impallidendo un po', Bruce mi fissò.
«Arrivederci. E si assicuri che Malcolm riceva il messaggio.»
Di nuovo, lui annuì troppo rapidamente, con gli occhi sgranati dietro gli occhiali.
Come una guardia del corpo da action-movie di serie Z, Ronnie mi aprì la porta, aspettò che uscissi, e mi seguì. Poco dopo, nella navata della chiesa, scoppiò a ridere. «L'abbiamo spaventato, eh?»
«Bruce si spaventa facilmente.»
Con gli occhi scintillanti, Ronnie annuì.
Era bastato un minimo accenno alla violenza e all'omicidio perché Bruce crollasse. Eppure, quando fosse «cresciuto», sarebbe diventato un vampiro.
Sicuro...
Nell'abbandonare la semioscurità del tempio, rimasi abbagliata dal sole intenso e socchiusi gli occhi, sollevando una mano a proteggerli, quindi percepii un movimento con la coda dell'occhio.
«Anita!» gridò Ronnie.
Ogni cosa parve rallentare. Ebbi tempo in abbondanza per osservare sia l'uomo sia la pistola che impugnava con entrambe le mani. Ronnie mi si lanciò addosso, catapultando entrambe sul pavimento all'interno del tempio.
Alcune pallottole si conficcarono nella porta, in corrispondenza della posizione in cui mi ero trovata sino a un istante prima.
Mentre Ronnie strisciava alle mie spalle, lungo la parete, sfoderai la pistola, sdraiata su un fianco a lato della porta, assordata dal palpitare del mio stesso cuore, eppure in grado di udire ogni rumore: il frusciare del mio giubbotto, simile al crepitio dell'elettricità statica; i passi del sicario che saliva i gradini...
Quel figlio di puttana non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere!
Avanzai di qualche centimetro. Attraverso la soglia spuntò l'ombra dell'attentatore: non cercava neppure di nascondersi. Forse credeva che fossi disarmata, e in tal caso... Be', non avrebbe tardato ad accorgersi che sbagliava di grosso.
«Che sta succedendo, qui?» gridò Bruce.
«Torni dentro!» avvertì Ronnie.
Io non distolsi lo sguardo dalla porta. Non avevo la minima intenzione di lasciarmi distrarre da Bruce, permettendo in tal modo al sicario di ammazzarmi.
Nulla aveva importanza, in quel momento, se non l'ombra all'entrata e i passi esitanti.
Con la pistola in pugno, l'attentatore varcò la soglia, scrutando la navata: un dilettante.
Avrei potuto toccarlo con la canna della pistola. «Non muoverti!» intimai.
«Fermo!» mi sembra sempre troppo melodrammatico. Invece «Non muoverti!» è semplice, diretto. «Non muoverti», ripetei.
Lentamente, il sicario girò la testa a guardarmi. «Tu sei la Sterminatrice...» disse, sottovoce, con esitazione.
Dovevo negarlo? Forse sì, anzi senz'altro sì, se era lì per eliminare la Sterminatrice! «No», risposi.
L'assassino cominciò a girarsi. «Allora dev'essere lei...» E si volse in direzione di Ronnie.
Merda!
Per prendere la mira, lui sollevò il braccio armato.
«Non farlo!» gridò Ronnie.
Troppo tardi. Gli sparai a bruciapelo, al petto, e lo sparo di Ronnie fu l'eco del mio. Col sangue che si allargava sulla camicia, l'attentatore fu sollevato di peso e catapultato all'indietro dall'impatto, sbatté contro la porta socchiusa e cadde all'esterno, sulla schiena. Soltanto le sue gambe rimasero visibili.
Esitante, ascoltai per un poco senza udire nessun movimento, poi mi affacciai alla porta. Il sicario era immobile, però impugnava ancora la pistola.
Tenendolo sotto tiro, mi avvicinai con prudenza. Bastava un tremito, e avrei sparato di nuovo.
Con un calcio, gli feci volar via la pistola di mano, infine gli tastai il collo per individuare eventuali pulsazioni: nuda, nicht, morto.
Uso munizioni che possono abbattere i vampiri, se ho la fortuna di poter sparare e se i vampiri non sono troppo antichi: anche se il foro d'entrata nel petto era piccolo, la schiena era squarciata. Insomma, il proiettile aveva svolto la sua funzione: si era espanso, producendo un enorme foro di uscita.
La testa ciondoloni rivelava i due morsi che decoravano il collo. Comunque, nonostante i morsi, l'attentatore era morto, visto che ormai non gli restava abbastanza muscolo cardiaco da infilare un ago. Un dilettante stupido e armato, un tiro fortunato.
Appoggiata alla porta, pallida in viso, Ronnie puntava la pistola contro il cadavere, con le braccia scosse da un tremito appena percettibile. «Di solito non sono armata durante il giorno, ma sapendo di dover accompagnare te...»
«È un insulto?»
«No», garantì Ronnie. «Davvero.»
Non potevo metterlo in dubbio. Dato che mi sentivo le ginocchia molli, sedetti sulla pietra fredda di un gradino, mentre l'adrenalina defluiva dal mio corpo come acqua da una tazza spaccata.
Sulla soglia, bianco come il ghiaccio, stava Bruce. «Lui... Ha cercato di ucciderla...» commentò, con voce spezzata dalla paura.
«Lo conosce?» chiesi.
In silenzio, Bruce scosse ripetutamente la testa.
«Ne è sicuro?»
«Noi... Noi non... tolleriamo la violenza...» Deglutì a stento, la voce un sussurro incrinato. «Non lo conosco.»
Mi sembrava veramente spaventato. D'altra parte, anche se lui non conosceva il defunto, ciò non significava che non fosse un seguace della Chiesa.
«Chiami la polizia, Bruce.»
Il giovane rimase immobile a fissare il corpo.
«Chiami la polizia. Okay?»
Con gli occhi vitrei, Bruce mi fissò. Non ero sicura che avesse capito, comunque rientrò nel tempio.
Dopo essersi seduta accanto a me, Ronnie fissò il parcheggio, mentre il sangue scorreva in rivoletti scarlatti sui gradini bianchi. «Cristo...» sussurrò.
«Già...» Impugnavo ancora la pistola, ma senza forza e, dato che non sembrava più esserci pericolo, mi decisi a rinfoderarla. «Grazie per avermi spinta fuori tiro.»
«Di nulla.» Ronnie emise un sospiro profondo e tremante. «Grazie per averlo steso prima che mi ammazzasse.»
«Prego, figurati. L'hai beccato anche tu, no?»
«Non me lo ricordare.»
La scrutai. «Tutto bene?»
«No. Sono illesa e spaventata.»
«Già...» Ronnie doveva soltanto stare alla larga da me, visto che sembravo inalberare un cartello che annunciava: A Ero una minaccia ambulante e parlante per amici e colleghi. Poco prima, Ronnie poteva rimetterci la pelle e, se ciò fosse accaduto, sarebbe stata colpa mia. Era stata più lenta di me a sparare, però di pochissimo: una frazione di secondo che poteva costarle la vita. D'altronde, se non fosse stata con me, sarebbe toccato a me rimetterci la pelle: con qualche pallottola nel torace, la pistola non mi sarebbe servita a un accidente di niente.
In lontananza si udirono le sirene della polizia. Le pattuglie dovevano essere state vicine, ammesso che nel frattempo non fosse stato compiuto un altro omicidio. Era possibile. Gli investigatori avrebbero creduto che il defunto era soltanto un fanatico che aveva cercato di uccidere la Sterminatrice?
Forse... Ma Dolph non l'avrebbe bevuta.
Né io né Ronnie pronunciammo più una sola parola mentre il sole opprimente ci avvolgeva come una sgargiante plastica gialla. Forse non restava altro da dire. Grazie per avermi salvato la vita. Di nulla. Che altro?
Mi sentivo leggera, vuota, quasi in pace. Intorpidita. Evidentemente mi stavo avvicinando alla verità, quale che fosse, visto che qualcuno stava cercando di farmi fuori. Era un buon segno, in un certo senso: sapevo qualcosa di così importante che l'unico modo per non divulgarlo era farmi fuori. Il guaio era che io stessa non avevo la più pallida idea di che cosa si presumeva sapessi.
 
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