Capitolo 37

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 22:33





37



Il Circo dei Dannati occupava un vecchio magazzino, il cui tetto era abbellito da un'insegna luminosa multicolore composta da una serie di clown giganteschi che circondano il nome del parco di divertimenti. Se si osservava molto attentamente, si vedeva che quei clown avevano le zanne. Ma bisognava guardarli davvero con estrema attenzione.
Alle pareti dell'edificio erano appesi alcuni striscioni che ricordavano quelli esposti davanti ai padiglioni dei fenomeni delle fiere di molto tempo fa: un impiccato, con la scritta alcuni zombie che uscivano strisciando da un cimitero, con l'invito la raffigurazione assai rozza di un lupo mannaro, chiamato Fabian il Licantropo, e altri ancora, che reclamizzavano altre attrazioni, nessuna delle quali particolarmente edificante.
Se il Guilty Pleasures operava sul confine tra l'intrattenimento e il sadomasochismo, nel Circo quel confine era abbondantemente superato. Lì si sprofondava nell'abisso.
E io mi accingo a tuffarmici! pensai, con un sospiro.
All'entrata, il fragore carnevalesco era come un pugno alla bocca dello stomaco. Poi ci s'immergeva nel borbottio della folla che tirava e spingeva, nelle luci multicolori e violente che ferivano gli occhi, ma di sicuro attiravano l'attenzione, oppure inducevano a vomitare il pranzo. Certo, era possibile che tale impressione fosse dovuta, in quell'occasione, soltanto al mio nervosismo...
Ai profumi dello zucchero filato e dei dolciumi di ogni forma e colore, nonché al puzzo di sudore, si mescolava subdolamente un odore dolciastro, simile a quello delle monetine di rame, che pervadeva ogni cosa e che la maggior parte della gente non riconosceva: era l'odore del sangue. Nell'aria, tuttavia, si spandeva anche un altro odore: quello della violenza. Certo, la violenza non ha odore, eppure in quel luogo era sempre presente sotto
forma di qualcosa di vagamente percepibile. Faceva venire in mente il lezzo di una stanza chiusa da lungo tempo o di un indumento imputridito.
Prima di quella sera, non mi ero mai recata al Circo dei Dannati se non per collaborare alle indagini di polizia. E che cosa non avrei dato, in quel momento, per essere accompagnata da qualche agente in uniforme...
Come l'acqua tagliata dalla prua di una nave, la folla si divise per allontanarsi istintivamente da Mister Muscolo, meglio conosciuto come Winter.
Se ne avessi avuto la possibilità, anch'io avrei tagliato la corda volentieri.
L'abbigliamento di Winter era tipico: un body zebrato che lasciava seminudo il busto e aderiva come una seconda pelle alla muscolatura guizzante.
Mi si fermò davanti, torreggiante, consapevole di dominarmi con la sua mole.
«Sei così oscenamente alto soltanto tu, oppure è una caratteristica di famiglia?» gli chiesi.
Socchiudendo gli occhi, Winter si accigliò. Probabilmente non aveva capito la battuta. «Seguimi», ordinò, prima di girarsi e d'immergersi di nuovo nella folla.
Probabilmente si aspetta che lo segua come una brava bambina... Merda!
Dall'ingresso del tendone azzurro montato a un angolo del magazzino, davanti al quale il pubblico era in fila per esibire il biglietto, un banditore stava gridando con voce tonante: «Lo spettacolo sta per cominciare, gente!
Mostrate il biglietto ed entrate a vedere l'impiccato! Il conte Alcourt sarà giustiziato davanti ai vostri stessi occhi!»
Quando sostai qualche istante ad ascoltare, Winter non mi aspettò. Fortunatamente la sua larga schiena zebrata non scomparve nella calca, però fui costretta a trottare per raggiungerlo, una cosa che detesto fare, perché mi sembra di essere una bimba che rincorre un adulto.
D'altra parte, se una corsetta fosse stata la peggiore delle mie esperienze, quella notte sarebbe stata fantastica.
Una ruota panoramica tutta illuminata sfiorava il soffitto. Un tizio mi offrì una palla da baseball: «Tenti la fortuna, piccola signora!» Odio essere chiamata con quel genere di appellativi perciò lo ignorai, lanciando però un'occhiata ai premi: bambole mostruose e animali di peluche, soprattutto predatori, cioè morbide pantere, orsacchiotti grandi come bambini, serpenti maculati, giganteschi pipistrelli zannuti.
Un clown calvo vendeva i biglietti per il labirinto degli specchi, fissando i bambini che entravano nel padiglione con una tale intensità che potei quasi percepire il peso del suo sguardo sulle loro schiene, come se stesse memorizzando ogni caratteristica della corporatura di ciascuno. Nulla avrebbe potuto convincermi a tuffarmi nello sfavillante fiume di specchi, lasciandomi il clown alle spalle.
La casa dei divertimenti era piena di pagliacci, di strilli e di folate ululanti.
La passerella metallica che conduceva nelle sue profondità oscillava e si torceva, tanto che un ragazzino rischiò di cadere e fu sostenuto dalla madre. Che cosa poteva mai indurre un genitore a condurre un bambino in un luogo così orribile?
La presenza di una casa stregata mi sembrò quasi buffa o quantomeno ridondante, dato che l'intero Circo era un castello degli orrori.
Davanti alla porticina per accedere alla scala che scendeva nel rifugio dei vampiri, Winter attendeva, accigliato, con le braccia enormi quasi incrociate sul torace altrettanto enorme: erano troppo muscolose per potersi piegare normalmente, però lui ci provava.
Quando lui aprì la porta, entrai. Accanto a una parete, come sull'attenti, stava l'uomo alto e calvo che avevo visto con Nikolaos in occasione del nostro primo incontro. Aveva un viso lungo e bello, con gli occhi che apparivano prominenti a causa dell'assenza di capelli. Mi guardò come un maestro elementare che sorvegliasse un'alunna indisciplinata. Ma cos'avevo fatto di male?
«Perquisiscila», ordinò il pelato, con una voce profonda, dall'accento colto e vagamente inglese, però umana.
In silenzio, Winter annuì. Perché parlare, se un cenno era sufficiente?
Con le manone mi sollevò il giubbotto e mi privò della prima pistola, poi, con una spallata, mi obbligò a girarmi e trovò anche la seconda. Mi ero davvero illusa che mi sarebbe stato permesso di tenere le armi? Sì, credo proprio di sì. Razza di stupida...
«Controlla le braccia: potrebbe avere anche qualche pugnale.»
Dannazione... Non appena Winter mi afferrò le maniche, come per accingersi a strapparle, dissi: «Aspetta, per favore. Mi tolgo il giubbotto, così, se vuoi, puoi perquisire anche quello».
Mentre Winter mi sfilava i pugnali dalle guaine assicurate agli avambracci, il calvo frugò il giubbotto giallo alla ricerca di altre armi nascoste, ma invano. Winter esaminò anche i pantaloni, ma abbastanza sommariamente: e infatti si lasciò sfuggire il pugnale alla caviglia. Così mi era rimasta un'arma e i vampiri non ne sarebbero stati al corrente. Benissimo.
Discesa la lunga scala, entrammo nella sala del trono, che era deserta.
Forse il mio viso lasciò trapelare la delusione, perché il calvo spiegò: «La Master ci attende insieme col tuo amico». Quindi mi precedette di nuovo, come aveva fatto nello scendere la scala, e Winter mi seguì. Temevano forse che tentassi la fuga? E dove sarei potuta scappare?
Si fermarono davanti alla segreta e, chissà perché, non ne fui sorpresa. Il calvo bussò alla porta due volte, non troppo forte, non troppo piano.
Il silenzio che seguì fu interrotto da una risata allegra e vigorosa proveniente dall'interno, che mi fece accapponare la pelle. Non volevo rivedere Nikolaos, né essere di nuovo rinchiusa nella prigione sotterranea: volevo andare a casa.
La porta si aprì e Valentine fece un ampio gesto d'invito. «Entra, entra...» Indossava una maschera d'argento, sulla cui fronte era appiccicata una ciocca castano-ramata, vischiosa di sangue.
Il cuore mi balzò in gola. Sei vivo, Phillip? Dovetti far ricorso a tutto il mio autocontrollo per non gridare.
Allorché Valentine si scostò come per attendere che varcassi la soglia, mi girai a guardare il calvo senza nome, il quale, impassibile, m'invitò a entrare con un cenno della testa. Obbedii.
Ciò che vidi mi bloccò in cima alla gradinata, incapace di proseguire, assolutamente incapace di muovere anche solo un altro passo. Addossato alla parete opposta stava Aubrey, sogghignante, i capelli ancora dorati, sul viso una smorfia bestiale. Nikolaos indossava un lungo abito bianco, che, per contrasto, faceva sembrare gesso la sua pelle e cotone i suoi capelli. Era macchiato di sangue come se qualcuno l'avesse spruzzato d'inchiostro rosso con una penna.
Fissandomi con gli occhi grigio-azzurri, Nikolaos rise di nuovo: una risata profonda, di malvagità pura. Con una mano pallida, imbrattata di sangue, la Master accarezzò il petto nudo di Phillip, lasciando scivolare un dito sopra un capezzolo, e rise.
Phillip era incatenato al muro per i polsi e le caviglie. I lunghi capelli castani cadevano sul viso a nascondere un occhio. Il corpo muscoloso era coperto di morsi e il sangue scorreva in sottili rivoli cremisi sulla pelle abbronzata.
Mi fissò con l'occhio che non era celato dai capelli, colmo di disperazione: sapeva di essere stato imprigionato laggiù a morire senza poter fare nulla per difendersi. Io, tuttavia, forse qualcosa potevo fare. Doveva essere così. Ti prego, Signore, fai che sia così! pregai silenziosamente.
Nel momento in cui il calvo mi toccò una spalla, trasalii. La mia reazione suscitò le risa dei vampiri, ma non dello schiavo umano.
Scesi i gradini e mi recai a pochi passi da Phillip, che evitò di guardarmi.
La Master gli accarezzò una coscia nuda, salendo verso l'inguine. «Oh, ci siamo divertiti molto col tuo amante...» disse, mentre Phillip s'irrigidiva e serrava i pugni. La voce di Nikolaos suonò più dolce che mai.
«Non è il mio amante.»
«Suvvia, Anita...» s'imbronciò Nikolaos. «Non mentire. Non è divertente.» Mi si avvicinò, ancheggiando come se danzasse al ritmo di una musica interiore, e protese una mano.
Per non essere toccata, indietreggiai, urtando Winter.
«Ah, Risvegliante, Risvegliante... Quando imparerai che non puoi opporti a me?»
Non mi sembrò un invito a parlare, quindi tacqui.
Nikolaos protese una mano di squisita bellezza, coperta di sangue.
«Winter può immobilizzarti, se preferisci...»
Rimasi immobile a osservare le dita pallide che scivolavano verso il mio viso. Decisa a non scostarmi, mi conficcai le unghie nelle palme delle mani, lasciando che la vampira mi toccasse la fronte con l'umidità fredda del sangue, e poi scendesse lungo la tempia e la guancia, sino al mio labbro inferiore, tracciando un segno. In quegli istanti, credo, trattenni il fiato.
«Leccati le labbra», ordinò Nikolaos.
«No.»
«Oh, sei ostinata... È stato Jean-Claude a infonderti tutto questo coraggio?»
«Di che diavolo stai parlando?»
Gli occhi di Nikolaos s'incupirono, il volto si rannuvolò. «Non fingere pudore, Anita. Non ti si addice.» La sua voce divenne improvvisamente adulta, abbastanza rovente da ustionare. «Conosco il tuo piccolo segreto.»
«Non so di cosa stai parlando», insistetti. Davvero non capivo la sua collera.
«Se preferisci, possiamo giocare ancora per un poco...» D'improvviso, senza che percepissi il suo movimento, Nikolaos fu accanto a Phillip. «Sei sorpresa, Anita? Ebbene, io sono ancora la Master di questa città. Ho poteri che tu e il tuo Master non avete mai neppure sognato.»
Il mio Master? Di che diavolo stava parlando? Io non avevo nessun Master!
Per tergere il sangue, Nikolaos passò entrambe le mani sul petto di Phillip, rivelando la pelle liscia e immacolata, poi si mise di fronte a lui, che aveva chiuso gli occhi, e piegò la testa all'indietro, dischiudendo le labbra in un ringhio che lasciò intravedere le zanne.
«No...» Cercai di avanzare, ma Winter mi posò le mani sulle spalle e scosse lentamente la testa. Non mi era permesso interferire.
Nel momento in cui le zanne gli affondavano in un fianco, Phillip s'irrigidì tutto, inarcando il collo e scuotendo le braccia incatenate.
«Lascialo!» Tirai una gomitata nello stomaco a Winter, che si lasciò sfuggire un grugnito, però mi conficcò le dita nelle spalle con tale violenza che a stento mi trattenni dal gridare, quindi mi cinse con le braccia e mi strinse a sé, impedendomi ogni movimento.
Col mento insanguinato, Nikolaos sollevò la testa e si leccò le labbra con la piccola lingua rosea. «Che ironia!» commentò, con una voce più vecchia di quanto il suo corpo avrebbe mai potuto diventare. «Ho mandato Phillip a sedurti, e tu, invece, hai sedotto lui...»
«Non siamo amanti.» Mi sentivo ridicola, così stretta dalle braccia enormi al petto di Winter.
«Negare non aiuterà nessuno dei due.»
«E cosa potrebbe aiutarci?»
A un cenno della Master, Winter mi lasciò, e io, per allontanarmi abbastanza da sottrarmi alla sua portata, mi avvicinai a Nikolaos. Forse non era un miglioramento, tuttavia...
«Discutiamo del tuo futuro, Anita...» Nikolaos iniziò a salire i gradini.
«Nonché di quello del tuo amante...»
Presumendo che si riferisse a Phillip, non la smentii. Il calvo senza nome m'invitò con un cenno a seguire la Master. Aubrey si avvicinò maggiormente a Phillip. La possibilità che restassero soli mi pareva inaccettabile, perciò dissi: «Nikolaos... Ti prego...»
Forse a causa del mio tono implorante, lei si voltò. «Sì?»
«Posso chiedere due cose?»
Divertita come un'adulta che avesse udito una bambina pronunciare per la prima volta una parola nuova, lei sorrise. «Puoi chiedere...»
Avevo un obiettivo e non m'interessava affatto cosa poteva pensare di me la Master della città. «Vorrei che tutti i vampiri lasciassero questa stanza, quando noi saremo uscite...» Poiché Nikolaos continuava a fissarmi sorridendo, capii che almeno la prima richiesta sarebbe stata accolta. «E vorrei il permesso di parlare con Phillip in privato...»
La risata possente e selvaggia di Nikolaos fu come uno scampanio generato da un vento di tempesta. «Sei audace, mortale: te lo concedo. Adesso comincio a capire cosa vede in te Jean-Claude...»
Ignorai il commento, perché ebbi la sensazione di non riuscire a comprenderne interamente il significato. «Ti prego... Puoi esaudire le mie richieste?»
«Chiamami Master e sarai esaudita.»
Nel silenzio improvviso, si udì il mio deglutire. «Ti prego... Master.»
Riuscii a pronunciare l'ultima parola senza che mi si strozzasse la voce.
«Molto bene, Risvegliante... Bene davvero...»
Senza che Nikolaos dicesse una sola parola, Valentine e Aubrey salirono i gradini e uscirono. Fu una cosa davvero impressionante.
«Burchard rimarrà in cima alla gradinata. Il suo udito è umano, perciò, se parlerai sottovoce, non potrà udirti.»
«Burchard?» chiesi.
«Sì, Risvegliante: Burchard, il mio schiavo umano.» Nikolaos mi fissò, come se la spiegazione fosse stata adeguata, poi, in apparenza insoddisfatta della mia espressione, si accigliò. Infine, con un roteare dell'ampia gonna bianca, si girò bruscamente e uscì a sua volta, seguita da Winter, che pareva un cagnone obbediente e imbottito di sferoidi.
Burchard, il calvo di cui sino a poco prima avevo ignorato il nome, si mise davanti alla porta chiusa e fissò gli occhi nel vuoto per evitare di guardare me e Phillip, garantendoci così una specie d'intimità. Mi avvicinai a Phillip, che continuò a non guardarmi, lasciando che i folti capelli castani gli ricadessero sul viso, come una tenda alzata per separarci. «Phillip...
Cos'è successo?»
Come accade a coloro che hanno gridato troppo a lungo, Phillip rispose in un sussurro tanto roco e dolente che, per sentirlo, fui costretta ad alzarmi in punta di piedi e quasi ad aderire al suo corpo. «Mi hanno catturato al Guilty Pleasures e mi hanno portato qui.»
«E Robert non ha cercato d'impedirlo?» Per qualche ragione, mi sembrava importante saperlo. Avevo incontrato Robert soltanto una volta, ma ero arrabbiata anche con lui perché non aveva protetto Phillip. Robert dirigeva il locale in assenza di Jean-Claude, quindi sarebbe stato suo dovere occuparsi di Phillip.
«Non è abbastanza forte.»
Perdendo l'equilibrio, fui costretta ad appoggiarmi a lui, però mi ritrassi di scatto, con le mani insanguinate.
A occhi chiusi, Phillip piegò la testa all'indietro, contro la parete, deglutendo a fatica e rivelando due morsi recenti al collo. I vampiri lo avrebbero ucciso dissanguandolo con estrema lentezza... a meno che una bramosia incontrollabile non avesse indotto uno di loro a finirlo rapidamente. Nel tentativo di guardarmi, chinò la testa, ma i capelli gli ricaddero sugli occhi.
Dopo essermi pulita le mani sui jeans, mi avvicinai di nuovo a lui, camminando quasi in punta di piedi, e tentai più volte, ma invano, di scostargli i capelli dal viso. Irritata, glieli pettinai con insistenza fino a lasciare scoperto il volto: erano più morbidi di quanto sembrassero, folti, e caldi come il suo corpo.
Quasi sorridendo, Phillip sussurrò con voce spezzata: «Alcuni mesi fa sarei stato disposto a pagare per questo...»
Lo fissai, poi mi resi conto che stava cercando di scherzare. Oddio... La gola mi si contrasse.
«È tempo di andare», annunciò Burchard.
Scrutai gli occhi di Phillip, che, come specchi foschi, riflettevano le fiamme guizzanti delle fiaccole. «Non ti abbandonerò, Phillip.»
Con un movimento rapido dello sguardo, lui accennò all'individuo che stava in cima alla gradinata. «Ci vediamo più tardi», mormorò. E la paura rese il suo volto giovane e indifeso.
Mi scostai. «Puoi contarci.»
«Non è saggio far aspettare la Master», osservò Burchard.
Probabilmente il calvo aveva ragione. Phillip e io ci scambiammo un ultimo sguardo, con la sua gola che pulsava come se il sangue cercasse di erompere attraverso la pelle, e la mia che doleva, mentre l'angoscia mi opprimeva il petto. Indugiai a osservare il riflesso delle fiamme nei suoi occhi ancora per un attimo, prima di girarmi e salire i gradini. Le cacciatrici di vampiri, dure come l'acciaio, non piangono mai, almeno in pubblico.
Sempre che riescano a trattenersi.
Burchard aprì la porta e io lanciai un'ultima occhiata a Phillip, salutandolo con la mano, come un'idiota. Gli occhi di lui mi parvero d'improvviso grandi in modo quasi esagerato. Sembravano gli occhi di un bimbo che guarda un genitore lasciare la stanza prima che tutti i mostri siano scomparsi.
Eppure fui costretta a lasciare Phillip laggiù, nella segreta, solo e indifeso...
In silenzio, pregai. Per lui e per me.
 
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