Capitolo 39

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 22:49





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Risvegliarmi fu una gradevole sorpresa. Sbattei le palpebre, abbagliata dalla luce elettrica sul soffitto. Ero viva, e non mi trovavo più nella prigione sotterranea. Doveva essere un bene.
Perché mai mi stupiva essere ancora in vita? Accarezzai il tessuto ruvido del divano su cui giacevo, al di sopra del quale era appeso un quadro che raffigurava una scena fluviale con chiatte, muli, folla. Un uomo dai lunghi capelli biondi, con un bel viso dalla mascella volitiva, era chino su di me, e mi guardava. La sua bellezza non mi parve inumana, come in occasione del nostro primo incontro, ma rimaneva notevole. Suppongo che sia un requisito fondamentale per uno stripper.
La mia voce suonò roca, spezzata. «Robert...»
«Temevo che non riprendessi conoscenza prima dell'alba.» Si accovacciò vicino a me. «Come ti senti?»
«Dove...» Schiarirmi la gola mi procurò un certo sollievo. «Dove sono?»
«Nell'ufficio di Jean-Claude, al Guilty Pleasures.»
«Come ci sono arrivata?»
«Ti ha portata Nikolaos. Ha detto: 'Ecco la puttana del tuo Master'.»
Notai che deglutivo con un certo sforzo e quel fatto mi rammentò qualcosa, che tuttavia non riuscii a precisare. «Sai cos'ha fatto Jean-Claude?» chiesi.
«Il mio Master ti ha impresso il suo marchio due volte», annuì Robert.
«Quando parlo a te, sto parlando a lui.»
Mi domandai se la frase dovesse essere considerata nel suo significato metaforico oppure in quello letterale, ma in realtà non desideravo affatto saperlo.
«Come ti senti?»
Qualcosa, nel tono di Robert, suggeriva che non mi sarei dovuta sentire affatto bene. In effetti, la gola mi doleva. Sollevai una mano a toccarla, scoprendo di avere, sul collo, sangue coagulato. Chiusi gli occhi, senza però trame beneficio. Dalla gola mi salì un suono soffocato, molto simile a un gemito lamentoso. Nella mia memoria era impresso a fuoco il ricordo di Phillip, del suo sangue che sgorgava dalla gola squarciata. Scossi la testa, quindi cercai di respirare profondamente, ma fu una pessima idea. «Il bagno...?»
Seguendo l'indicazione di Robert, entrai in bagno e m'inginocchiai sul pavimento freddo a vomitare nel gabinetto, finché non mi rimase altro da sputare che bile. Al lavandino, mi sciacquai la bocca e mi lavai il viso con l'acqua fredda. Infine mi guardai allo specchio: con gli occhi che non sembravano più marroni, bensì neri, e la pelle disgustosamente pallida, avevo un aspetto di merda e mi sentivo anche peggio.
L'orrore vero era sul collo, a destra, e non si trattava dell'impronta dei denti di Phillip, ma dei forellini delle zanne di Nikolaos, che mi aveva... contaminata per dimostrare di poter nuocere alla schiava umana di Jean-Claude. Insomma aveva dimostrato quant'era potente...
E Phillip era morto. Morto. Potevo pensarlo, ma... Ero anche in grado di dirlo ad alta voce? Tentai. «Phillip è morto», dissi di slancio.
Appallottolai la salvietta di carta e la gettai nel cestino metallico. Non bastava. Con un grido, tirai una serie di calci al cestino e lo rovesciai, spargendone il contenuto sul pavimento.
Dall'ufficio giunse la voce di Robert: «Ti senti bene?»
«Ti sembra che possa sentirmi bene?» strillai.
Con fare esitante, lui aprì la porta. «Posso fare qualcosa per aiutarti?»
«Non sei riuscito neppure a impedire che catturassero Phillip!»
Robert trasalì. «Ho fatto del mio meglio...»
«Be', non è stato abbastanza! Vero?» strillai come una pazza, prima di lasciarmi cadere in ginocchio, mentre la collera mi saliva alla gola, soffocandomi, e traboccava dagli occhi. «Vattene!»
«Sei sicura?» mormorò Robert.
«Vattene subito!»
In silenzio, lui chiuse la porta del bagno, lasciandomi seduta sul pavimento a dondolarmi, piangendo e strillando. Poi, quando il cuore si fu svuotato come lo stomaco, mi sentii distrutta, spossata.
Per dimostrare il suo potere, Nikolaos aveva ucciso Phillip e morso me.
Di certo si era convinta che mi sarebbe bastato sentir pronunciare il suo nome per avvertire un'immane paura. Aveva ragione. Eppure da molto tempo ormai dedicavo la maggior parte delle mie ore di veglia ad affrontare e a distruggere ciò che temevo. E anche se una Master di mille anni era un'avversaria formidabile, cercai di considerarla soltanto un obiettivo da colpire.
 
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