Capitolo 43

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 23:09





43



La notte era quasi perfettamente nera, le nubi dense nascondevano il cielo e il vento umido di pioggia frusciava, spazzando il suolo.
Il monumento sulla tomba di Iris Jensen, in marmo bianco e liscio, raffigurava un angelo con le ali spiegate e le braccia spalancate in un gesto di accoglienza. Alla luce della torcia elettrica, l'iscrizione era ancora leggibile:
Colui che aveva commissionato l'angelo e aveva sofferto la sua perdita era lo stesso individuo che l'aveva molestata. Lei si era suicidata per sfuggirgli, e lui l'aveva resuscitata. Perciò mi trovavo là, nell'oscurità, ad attendere i Jensen: non per il padre, ma per la figlia. Pur sapendo che Iris aveva ormai perduto ogni traccia d'intelletto, desideravo assicurarle la pace del riposo eterno.
Non tentai neppure di spiegare a Edward tutto ciò perché mi rendevo conto di non esserne in grado.
Sul cimitero deserto vigilava, come una sentinella, una quercia vetusta, tra le cui fronde stormiva il vento, strappando e disperdendo foglie veleggianti e sussurranti, più autunnali che estive. L'aria era umida, fredda, e la pioggia stava per arrivare. Una volta tanto, non era una notte insopportabilmente calda.
Mi ero procurata un paio di galline, che chiocciavano nella gabbia posata accanto alla tomba. Edward era appoggiato alla mia auto, con le braccia lungo i fianchi e le caviglie incrociate. Nella borsa da palestra, aperta accanto a me, al suolo, scintillava il mio machete.
«Dov'è?» chiese Edward.
Scossi la testa. «Non ne ho idea.» Era buio da quasi un'ora e il cimitero era quasi spoglio, a parte i pochi alberi sparsi sul terreno ondulato. Ormai avremmo già dovuto avvistare i fari dell'automobile sul vialetto ghiaiata.
Dov'era Jensen? Aveva forse cambiato idea?
«Non mi piace, Anita», disse Edward, avvicinandosi.
Nemmeno io ero troppo tranquilla, però... «Concediamogli ancora un po'. Se non arriva entro un quarto d'ora, ce ne andiamo.»
«Non ci sono molti rifugi, da queste parti», commentò Edward, guardandosi intorno.
«Non dobbiamo preoccuparci di eventuali cecchini, credo.»
«Però hai detto che qualcuno ti ha sparato, vero?»
Con un brivido, annuii. Aveva ragione.
Quando il vento squarciò le nubi, la luce della luna scese a inargentare un piccolo fabbricato, che scintillò in lontananza.
«Quello cos'è?» chiese Edward.
«Il capanno del giardiniere. Credi forse che il prato si tosi da solo?»
«Non ci avevo mai pensato.»
Al riaddensarsi delle nubi, il cimitero sprofondò di nuovo nell'oscurità, i contorni delle forme si attenuarono, i marmi bianchi sembrarono pulsare di luce propria.
Un raschiare di artigli sul metallo m'indusse a girarmi di scatto: sul tettuccio della mia auto sedeva un necrofago nudo, simile a un essere umano che fosse stato spogliato e immerso in una vernice grigio-argentea, quasi metallica. Però aveva gli occhi che brillavano di luce cremisi ed era munito di zanne, nonché di lunghi artigli neri e ricurvi alle mani e ai piedi.
Con la pistola in pugno, Edward mi si affiancò.
Anch'io, d'istinto, avevo sfoderato la pistola.
«E quello che ci fa, qui?» chiese Edward.
«Non lo so.» Con la mano disarmata, gesticolai. «Vattene via!»
Fissandomi, il necrofago si accoccolò.
Di solito, i necrofagi sono codardi e non attaccano gli esseri umani in grado di difendersi. Anzi qualunque dimostrazione di forza li mette in fuga.
Così, avanzai di due passi, agitando la pistola. «Vattene via! Via!»
Il necrofago rimase appollaiato sull'auto.
Indietreggiai, mormorando: «Edward...»
«Sì?»
«Non ho percepito la presenza di nessun necrofago, in questo cimitero.»
«Ebbene? Te ne sarà sfuggito uno.»
«I necrofagi solitari non esistono: si spostano sempre a branchi. E a me non sfuggono mai, perché emanano una sorta di fetore psichico: il male.»
«Anita...» replicò Edward, sottovoce, in un tono normale che non era normale.
Girandomi nella stessa direzione in cui guardava lui, vidi alle nostre spalle altri due necrofagi che si avvicinavano strisciando. Subito Edward e io ci mettemmo schiena contro schiena, con le armi spianate.
«Qualche giorno fa ho visitato la scena di un crimine», mormorai. «Un uomo in perfetta salute era stato aggredito e ucciso da alcuni necrofagi, in un cimitero che ne era privo.»
«Suona familiare...» commentò Edward.
«Già... E le pallottole non li ammazzano...»
«Lo so. Che stanno aspettando?»
«Di trovare il coraggio, credo.»
«Stanno aspettando me.» Sorridente, Zachary sbucò dall'albero dietro il quale si era nascosto fino a quel momento.
Rimasi a bocca aperta e forse per quello Zachary continuò a sorridere.
Poi finalmente capii che, per nutrire il suo gris-gris, non uccideva affatto gli esseri umani, bensì i vampiri. L'ultima volta aveva scelto come vittima Theresa, per vendicarsi di quello che era accaduto nel cimitero presso la villa. Restavano però alcune domande senza risposta. Alcune domande importanti.
Dopo avere guardato me, Edward fissò Zachary. «Chi è?»
«L'assassino di vampiri, presumo.»
Il risvegliante abbozzò un inchino, poi accarezzò la testa quasi calva di un necrofago che gli si strusciava contro una gamba. «Quando lo hai capito?»
«Soltanto adesso. Sono piuttosto lenta di comprendonio in questo periodo.»
Zachary si accigliò. «Ero certo che avresti finito per capirlo...»
«Ecco perché hai distrutto la mente del testimone zombie: per salvarti.»
«E stata una fortuna che Nikolaos mi abbia lasciato l'incarico d'interrogarlo», sorrise Zachary.
«Ci scommetto... Come hai convinto il Due-Morsi a spararmi all'uscita dal tempio degli eternali?»
«È stato facile. Gli ho detto che l'ordine era stato impartito da Nikolaos.»
Naturalmente... «Come riesci ad allontanare i necrofagi dal loro cimitero?
Perché obbediscono ai tuoi ordini?»
«Conosci la teoria secondo la quale, se si seppellisce un risvegliante in un cimitero, si ottengono i necrofagi...?»
«Certo.»
«Quando sono uscito dalla tomba, loro mi hanno seguito. Ormai mi appartenevano: erano miei.»
Osservando di nuovo i mostri, scoprii che erano aumentati di numero.
Erano almeno venti: un grosso branco. «E così mi stai dicendo che questa sarebbe l'origine dei necrofagi...» Scossi la testa. «Ma nel mondo intero non ci sono abbastanza risveglianti per spiegarli tutti...»
«Ci ho pensato, e credo che più zombie si resuscitano in un cimitero, maggiori sono le probabilità che i defunti si trasformino in necrofagi.»
«Una sorta di accumulo progressivo?»
«Esatto. Avrei voluto discutere di tutto questo con un altro risvegliante, ma... Capisci il problema...»
«Certo. Non avresti potuto farlo senza ammettere che cosa sei e che cosa fai.»
Senza il minimo preavviso, Edward fece fuoco, centrando al petto Zachary, che girò su se stesso e cadde bocconi. I necrofagi rimasero paralizzati.
Poi il risvegliante redivivo si alzò sulle braccia e, aiutato da un mostro ansioso, si rimise in piedi. «Randelli e sassi possono spaccarmi le ossa, ma illeso mi lascia il piombo.»
«Fantastico», commentai. «Un vero comico.»
Edward sparò di nuovo e Zachary schizzò dietro l'albero. «Andiamo... Andiamo...» disse, restando nascosto. «Non si spara ai defunti! Non sono affatto sicuro di quello che mi succederebbe se quello mi piantasse una pallottola in testa.»
«Scopriamolo», propose Edward.
«Addio, Anita! Non resterò qui ad assistere allo spettacolo!» Zachary si allontanò, camminando curvo, quasi carponi, circondato da un gruppo di necrofagi. Altri due, tra cui una femmina che indossava ancora un abito a brandelli, sbucarono da dietro l'auto, carponi sulla ghiaia del vialetto.
«Diamogli un motivo per avere paura...» Edward fece fuoco due volte.
Uno strillo echeggiò nella notte. Il necrofago sul tettuccio cadde al suolo e si nascose. Nel frattempo, però, altri arrivarono da tutte le direzioni: Zachary ne aveva lasciati almeno quindici a divertirsi con noi.
Sparando a mia volta, ne colpii uno, che cadde su un fianco e rotolò sulla ghiaia, lanciando uno strillo da coniglio ferito, simile a quello emesso dal suo simile poco prima. Un grido di sofferenza animalesca.
«Possiamo rifugiarci da qualche parte?» mi gridò Edward.
«Nel capanno del giardiniere», suggerii.
«È in legno?»
«Sì.»
«Allora non li fermerà.»
«No, ma almeno non saremo più allo scoperto.»
«Okay. Qualche consiglio, prima di partire?»
«Non correre finché non saremo vicini al capanno. Crederebbero di averti spaventato e t'inseguirebbero.»
«Altro?»
«Non fumi, vero?»
«No. Perché?»
«Hanno paura del fuoco.»
«Ah, be', finiremo divorati vivi perché nessuno dei due fuma!»
Il tono assolutamente disgustato di Edward stava per strapparmi una risata, ma non ebbi il tempo di ridere perché fui costretta a sparare a un necrofago che stava per balzarmi addosso.
Un colpo in mezzo agli occhi. «Andiamo», dissi. «Piano, con calma.»
«Come vorrei che l'Uzi non fosse rimasto nell'auto...»
«Anch'io.»
In risposta a tre colpi di Edward, la notte si riempì di strilli bestiali. Poi, finalmente, ci avviammo verso il capanno, che distava almeno trecento metri: una bella camminata.
Muovendomi, atterrai un necrofago che stava per assalirci. Schizzò all'indietro, rotolando sull'erba. Era come tirare al bersaglio: niente sangue, soltanto fori. Le ferite erano dolorose, ma non abbastanza... No, assolutamente non abbastanza.
Camminando quasi all'indietro, con una mano protesa a mantenere il contatto con Edward, che mi precedeva, ero ormai convinta che non saremmo arrivati al capanno perché i necrofagi erano troppi, quando il chiocciare di una gallina mi suggerì un'idea.
Sparai a uno dei due uccelli, che stramazzò. L'altro, in preda al panico, prese a sbattere le ali contro le sbarre di legno della gabbia. I necrofagi rimasero immobili per alcuni istanti, poi uno di essi girò la testa e annusò l'aria. Sapevo benissimo cosa stava pensando: Sangue fresco! Carne Fresca!
Andiamo!
D'improvviso, due necrofagi partirono di corsa verso la gabbia, seguiti dagli altri. Infine tutti si ammassarono contro la gabbia, schiantandola, e tentando poi di azzannare una delle prede succulente.
«Continua a camminare, Edward. Non correre, però accelera. Le galline non li tratterranno a lungo.»
Aumentammo un poco l'andatura, mentre gli ululati dei necrofagi che si contendevano le prede e i rumori del sangue che schizzava ci diedero un'idea della sorte che quei mostri potevano riservarci.
Eravamo a metà strada tra l'auto e il capanno, quando la notte fu squarciata da un ululato ostile e prolungato, che nessun cane avrebbe mai potuto emettere.
Lanciando un'occhiata all'indietro, scoprii che i necrofagi si erano messi a correre a quattro zampe e venivano verso di noi.
«Scappa!» gridai.
Corremmo verso il capanno, ma, una volta giunti alla porta, scoprimmo che era chiusa con un lucchetto. Non c'era tempo di usare un grimaldello; allora Edward fece saltare il lucchetto con una pistolettata, mentre i necrofagi si avvicinavano sempre di più, ululando.
Ci chiudemmo dentro, anche se non sarebbe servito granché. Alla luce della luna, che entrava da un'unica finestrina, situata in alto, vicino al soffitto, vedemmo alcune falciatrici lungo una parete, alcune delle quali appese, nonché numerosi altri attrezzi da giardinaggio: cesoie, palette, un tubo flessibile arrotolato. Tutto il capanno puzzava di benzina e di stracci unti.
«Non c'è nulla per bloccare la porta, Anita», commentò Edward.
«Spingiamoci contro una falciatrice.»
«Non resisterà a lungo...»
«Meglio di niente.»
Dato che Edward non si muoveva, spinsi una falciatrice a ridosso della porta.
«Non ho nessuna intenzione di farmi divorare vivo...» Edward inserì un caricatore nella pistola. «Uccido prima te, se vuoi. Oppure preferisci farlo tu stessa?»
Soltanto allora ricordai di avere in tasca la bustina di fiammiferi che proprio Zachary mi aveva lasciato. Fiammiferi! Avevamo una bustina di fiammiferi!
«Anita... Sono quasi arrivati... Vuoi farlo tu?»
Sfilai la bustina di tasca. «Risparmia il piombo, Edward», mormorai, prendendo una latta di benzina.
«Che vuoi fare?»
Gli ululati echeggiavano tutt'intorno al piccolo edificio: i necrofagi erano ormai vicini.
«Voglio incendiare il capanno», risposi, cominciando a versare benzina sulla soglia. L'odore pungente che si diffuse nell'aria quasi mi soffocò.
«Con noi dentro?»
«Sì.»
«Preferirei spararmi, se non ti spiace.»
«Non ho nessuna intenzione di crepare stanotte, Edward.»
Un artiglio trafisse la porta e la schiantò. Accesi un fiammifero e lo gettai sul legno intriso di benzina, che subito avvampò di una fiamma biancoazzurra.
Il necrofago strillò, avvolto dalle fiamme, e indietreggiò barcollando.
Il fetore di carne e di capelli bruciati si mescolò a quello della benzina.
Tossendo, mi coprii la bocca con una mano, mentre il fuoco divorava la facciata del capanno, salendo verso il tetto. La benzina non serviva più: quella dannata baracca si era già trasformata in una trappola di fuoco, e noi eravamo ancora dentro. Non avevo previsto che l'incendio si diffondesse così rapidamente.
Addossato alla parete opposta, con una mano sulla bocca, Edward chiese con voce soffocata: «Hai un piano per uscire, vero?»
Una mano sfondò il legno, artigliandolo, e lui si scostò, sottraendosi alla presa. Un necrofago passò attraverso la parete schiantata, fissandoci con bramosia. Fulmineo, Edward gli piantò una pallottola nella fronte.
Cominciavano a piovere scintille dal soffitto: se non fossimo morti soffocatidal fumo, saremmo bruciati nel crollo del capanno.
Afferrai un rastrello. «Togliti la camicia.»
Senza neppure chiedere perché, Edward, pragmatico sino all'estremo, si tolse la fondina ascellare, si spogliò della camicia, me la gettò e indossò di nuovo la fondina sul torso nudo.
Avvolsi la camicia intorno al rastrello, la impregnai di benzina, quindi la incendiai, accostandola alle fiamme che divoravano la facciata, dalla quale cadevano faville che mi procuravano ustioni piccole come punture di vespa.
Avendo capito le mie intenzioni, Edward afferrò una scure per allargare la breccia aperta dal necrofago. Con la fiaccola improvvisata in una mano e la latta di benzina nell'altra, mi resi conto che il rischio più grosso era quello di un'esplosione. Non c'era più tempo. «Sbrigati!» gridai.
Edward sgusciò attraverso la breccia e io lo seguii, rischiando di bruciarlo con la fiaccola. Più astuti di quanto sembrassero, il grosso dei necrofagi si era fermato a un centinaio di metri dal capanno in fiamme. Cominciammo a correre, poi lo spostamento d'aria prodotto dall'esplosione mi catapultò sul prato. Rimasi senza fiato, in mezzo alle braci che piovevano tutt'intorno.
Mi protessi la testa con le mani e mi rimase da fare soltanto una cosa: mettermi a pregare.
Nel silenzio che seguì, sollevai cautamente la testa: il capanno si era disintegrato.
Intorno a me, pezzi di legno ardevano ancora. Edward giaceva così vicino a me che potevo quasi toccarlo, e mi fissava. Avevo forse un'espressione di sorpresa simile alla sua? Probabilmente sì.
La nostra fiaccola improvvisata stava lentamente appiccando il fuoco al prato. Mi alzai in ginocchio e l'afferrai, poi recuperai la latta di benzina, rimasta indenne, e mi rimisi in piedi.
Sembrava che i necrofagi se la fossero data a gambe, però bisognava essere prudenti. Così Edward mi seguì portando la fiaccola. Se avevamo qualcosa in comune, era senz'altro la paranoia. Ritornammo all'auto. L'adrenalina stava rifluendo e io mi sentivo più stanca di prima.
La gabbia e le galline, ormai, erano storia vecchia. Intorno alla tomba restavano soltanto frammenti e brandelli sparsi. Senza indugiare, raccolsi la mia borsa, rimasta intatta, là dove l'avevo lasciata. Allontanandosi, Edward gettò la fiaccola sulla ghiaia del vialetto.
Si udì lo stormire del vento fra gli alberi, poi un grido. La voce di Edward.
«Anita!»
Mi girai di scatto. Edward fece fuoco e qualcosa cadde strillando sul prato.
Fissai il necrofago mentre lui lo imbottiva di piombo. Dopo avere inghiottito di nuovo il cuore, che nel frattempo mi era balzato in gola, strisciai fino alla latta della benzina e l'aprii. Tenuto a distanza dalla fiaccola manovrata da Edward, mentre io lo cospargevo di benzina, il necrofago prese a strillare. Poi mi allontanai, abbassandomi. «Accendi!»
Al contatto della benzina con la fiamma della fiaccola, il necrofago venne istantaneamente avvolto dalle fiamme divampanti e cominciò a rotolarsi per terra. Invano. Insieme con le sue grida si diffusero nella notte il fetore della carne e dei capelli bruciati, e il puzzo della benzina.
«Il prossimo sarai tu, caro Zachary», sussurrai. «Il prossimo sarai tu.»
Gettato sul prato il rastrello, da cui pendeva qualche lembo bruciacchiato della camicia, Edward mi disse: «Andiamocene».
Mai stata più d'accordo su qualcosa. Aprii la portiera, che avevo chiuso a chiave, gettai la mia borsa sul sedile posteriore, sedetti al posto di guida e avviai il motore. Immobile, il necrofago giaceva sull'erba, a bruciare. Sedutosi accanto a me, Edward si mise l'Uzi in grembo. Per la prima volta, da quando lo conoscevo, mi sembrava scosso, persino spaventato.
«Hai intenzione di dormirci, con quello?»
Lui mi guardò. «Tu non ci dormi, forse, con quella pistola?»
Un punto per lui. Percorsi il vialetto ghiaiate alla massima velocità possibile, ma nei limiti della prudenza, dato che la mia Nova non è progettata per le gare di Formula Uno e senza contare il fatto che un incidente automobilistico là, nel cimitero, quella notte, non mi sembrava una gran bella idea. La luce dei fari saettò sulle lapidi senza cogliere movimenti. I necrofagi sembravano scomparsi.
Mi concessi un sospiro lungo e profondo. Era la seconda volta in altrettanti giorni che qualcuno attentava alla mia vita e, se proprio fossi stata costretta a scegliere tra i due casi... Be', sinceramente, avrei preferito che mi sparassero.
 
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