Capitolo 44

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 23:13





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Per lungo tempo guidammo in silenzio. Fu Edward che turbò il quieto frusciare delle ruote sull'asfalto. «Credo che non dovremmo ritornare al tuo appartamento...»
«Sono d'accordo.»
«Potremmo andare al mio albergo, a meno che tu non preferisca qualche altro posto...»
E dove potevo andare? Da Ronnie? Non avevo intenzione di esporla nuovamente al pericolo. Chi altri potevo coinvolgere? Nessuno, tranne Edward, che era in grado di affrontare i rischi forse persino più di quanto lo fossi io stessa.
Il cercapersone alla cintura cominciò a vibrare. Detestavo attivare quella modalità, perché le vibrazioni improvvise mi spaventavano sempre.
«Che diavolo succede?» chiese Edward. «Hai sobbalzato come se ti avesse morsa un vampiro!»
Spensi l'avviso e accesi il display, che s'illuminò, mostrando il numero di chi aveva chiamato. «È stato il mio cercapersone. Avevo messo la modalità vibrazione.»
Lui mi fissò. «Non chiamare l'ufficio», disse deciso.
«Senti, Edward... Non ne sono entusiasta neppure io, quindi non rompere.»
Lo sentii sospirare, ma guidavo io, perciò, a meno di minacciarmi con la pistola, non poteva far altro che assecondarmi. Imboccai la prima uscita e usai il telefono pubblico di un emporio.
Nel parcheggio illuminato a giorno sarei stata un bersaglio fantastico, ma, dopo lo scontro coi necrofagi, desideravo un po' di luce.
Smontai dall'auto col portafoglio in mano, seguita dagli occhi di Edward, che però non scese a guardarmi le spalle.
Rispose Craig, il segretario del turno di notte. «Animators Inc. In cosa posso aiutarla?»
«Salve, Craig. Sono Anita. Che succede?»
«Ha telefonato Irving Griswold, dicendo di richiamarlo subito, altrimenti l'incontro salta. Ha aggiunto che sai di che cosa si tratta. È così?»
«Sì. Grazie, Craig.»
«Hai un tono strano...»
«Buonanotte, Craig.» Riagganciai. Mi sentivo spossata e avevo mal di gola: avrei voluto rintanarmi per una settimana in un rifugio buio e silenzioso.
Invece chiamai Irving. «Sono io.»
«Be', era ora! Hai idea di quanto mi è costato organizzare questo incontro?
Se avessi tardato un po' di più, avresti mandato tutto all'aria!»
«Se non la pianti di brontolare rischiamo davvero che non se ne faccia niente. Dimmi soltanto dove e quando.» Ascoltai la risposta. Se non avessimo perso tempo, ce l'avremmo fatta. «Perché tutti hanno tanta fretta e vogliono fare tutto stanotte?»
«Ehi! Se non vuoi andare all'incontro, va benissimo!»
«Irving... Ho avuto una serataccia, perciò smettila di rompere.»
«Ti senti bene?»
«Non proprio, ma... Sopravvivrò.»
«Se sei ferita, posso provare a rimandare l'incontro, ma non posso prometterti nulla, Anita. È stato soltanto a causa del tuo messaggio se sono riuscito a combinarlo.»
Appoggiai la fronte alla parete metallica della cabina. «Ci sarò, Irving.»
«Io no.» Aveva un tono disgustato. «Niente giornalisti e niente polizia. È stata una delle condizioni.»
Non potei fare a meno di sorridere. Povero Irving... Era escluso da tutto!
Però non era stato aggredito dai necrofagi e non aveva rischiato di saltare in aria. Avrei dovuto avere un po' più di pietà per me stessa...
«Grazie, Irving. Sono in debito con te.»
«E non soltanto per stavolta, lo sai, vero? Be', sii prudente... Non so in cosa tu sia immischiata, ma sembra una brutta storia...»
Non abboccai. «Buonanotte, Irving.» Prima che potesse farmi altre domande, riagganciai.
Subito dopo chiamai Dolph, a casa. Non so perché, ma non potevo davvero aspettare la mattina successiva. Dopotutto ero stata quasi uccisa, quella notte: volevo essere certa che, se fossi morta, qualcuno avrebbe braccato Zachary per eliminarlo.
Al sesto squillo, Dolph rispose con una voce ruvida di sonno. «Sì...?»
«Dolph... Sono Anita Blake.»
«Che succede?» chiese il poliziotto, in tono quasi sveglio e allarmato.
«So chi è l'assassino.»
«Dimmelo.»
Mentre gli raccontavo tutto, Dolph prese appunti e pose domande. La più importante fu l'ultima: «Sei in grado di dimostrare qualcosa di tutto ciò?»
«Posso dimostrare che l'assassino indossa un gris-gris nonché testimoniare che mi ha confessato la sua colpevolezza e che ha cercato di uccidermi.»
«Sarà difficile convincere una giuria, per non parlare di un giudice...»
«Lo so.»
«Vedrò cosa posso scoprire.»
«È un caso abbastanza solido, Dolph.»
«È vero, però si basa interamente sulla tua testimonianza. E se ti dovesse succedere qualcosa...»
«Già... Sarò prudente.»
«Domani dovrai passare a rendere la tua deposizione.»
«Lo farò.»
«Buon lavoro.»
«Grazie.»
«Buonanotte, Anita.»
«Buonanotte, Dolph.» In auto, nuovamente seduta al posto di guida, annunciai:
«Abbiamo appuntamento coi ratti mannari fra quarantacinque minuti».
«Perché è tanto importante?» chiese Edward.
«Perché credo che possano indicarci un accesso secondario al rifugio di Nikolaos. Se tentassimo di entrare da quello principale, non avremmo nessuna speranza di farcela.» Avviai il motore e ritornai sulla strada.
«Chi altri hai chiamato?»
Mi aveva tenuto d'occhio, allora. «La polizia.»
«Come?»
A Edward, ovviamente, non piaceva avere a che fare con la polizia. «Se Zachary riesce ad ammazzarmi, voglio che qualcun altro si occupi di lui.»
Per qualche istante, lui rimase in silenzio, poi chiese: «Parlami di Nikolaos...»
Scrollai le spalle. «È un mostro di sadismo, e ha più di mille anni.»
«Non vedo l'ora d'incontrarla...»
«Sbagli.»
«Abbiamo ucciso altri Master, Anita. Lei non è diversa.»
«Invece lo è. Hai sentito cosa ho detto? Ha almeno mille anni. Credo di non essere mai stata altrettanto spaventata da niente e da nessuno in vita mia.»
Edward rimase in silenzio, il viso impenetrabile.
«A cosa stai pensando?»
«Al fatto che amo le sfide», rispose lui, con un sorriso ampio e bello.
La Morte incarnata ha trovato il suo scopo supremo: la preda più pericolosa, pensai. E non ha paura di lei. Invece dovrebbe averne, e anche parecchia.
Non ci sono molti locali aperti all'una e mezzo del mattino, ma Denny's lo è. Mi sembrava che ci fosse qualcosa di sbagliato nell'incontrare i ratti mannari da Denny's, bevendo caffè e mangiando ciambelle. Non sarebbe stato più adatto un vicolo buio? Badate: non mi stavo certo lamentando.
Semplicemente, mi sembrava strano...
Per accertarsi che non fosse una nuova trappola, Edward entrò per primo: se non vi fosse stato pericolo, avrebbe scelto un tavolo, altrimenti sarebbe uscito. Era semplice. Nessuno conosceva il suo aspetto: finché era solo, era anche libero di recarsi ovunque, senza che qualcuno tentasse di ammazzarlo. Stavo cominciando a sentirmi un'appestata.
Edward si sedette a un tavolo. Bene: nessun pericolo. Entrai nel ristorante, confortevole e bene illuminato. Per nascondere le occhiaie, la cameriera aveva applicato uno spesso strato di fondotinta roseo. Come se chiamasse lei, o un inserviente, un uomo mi fece cenno, sollevando una mano e agitando l'indice piegato.
«Ho appena visto i miei amici», dissi alla cameriera. «Grazie, comunque.»
A quell'ora di lunedì o, meglio, di martedì mattina, il ristorante era pressoché deserto. Due uomini sedevano a un tavolo di fronte a quello dell'individuo che aveva attirato la mia attenzione: benché fossero di aspetto abbastanza normale, emanavano una sorta di energia che sembrava crepitare nell'aria intorno a loro. Erano licantropi, ci avrei scommesso.
A un altro tavolo, situato diagonalmente rispetto a quello dei due uomini, sedevano un uomo e una donna. Anche nel loro caso sarei stata pronta a scommettere che si trattava di licantropi.
Edward di certo li sapeva riconoscere; in passato aveva braccato anche i lupi mannari. Ecco perché aveva scelto di occupare un tavolo non troppo vicino a loro.
Mentre gli passavo accanto, uno dei due uòmini che sedevano allo stesso tavolo mi scrutò con occhi marroni molto scuri, quasi neri. Aveva il viso quadrato, era snello e di bassa statura, però, quando unì le mani sotto il mento a fissarmi negli occhi, i muscoli delle sue braccia guizzarono. Sostenni il suo sguardo nel passare oltre e raggiunsi il tavolo del capo.
Era alto più di un metro e ottanta, aveva i capelli neri, folti e corti, la carnagione scura, gli occhi marroni nel viso magro e arrogante, di una bellezza bruna, molto messicana, e le labbra quasi troppo delicate per l'altezzosità con cui mi accolse. Il suo sospetto guizzava nell'aria come un fascio di fulmini.
Dopo essermi seduta di fronte a lui, respirai profondamente per rilassarmi, e lo guardai.
«Ho ricevuto il tuo messaggio», disse lui, con voce morbida ma profonda, senza traccia di accento. «Cosa vuoi?»
«Voglio che tu faccia da guida a me e a un altro umano nelle gallerie sotto il Circo dei Dannati.»
Alcune rughe poco profonde si formarono tra i suoi occhi, mentre lui si accigliava. «Perché dovrei fare questo per te?»
«Non vuoi liberare i tuoi seguaci dall'influenza della Master?»
In silenzio, sempre accigliato, il licantropo annuì.
Stavo cominciando a conquistarlo. «Se ci guiderai fino all'accesso della prigione sotterranea, sistemerò tutto.»
Lui intrecciò le mani sul tavolo. «Perché dovrei fidarmi di te?»
«Non sono una cacciatrice di taglie. Non ho mai aggredito nessun licantropo.»
«Non potremo combattere al tuo fianco, se affronterai la Master. Neppure io posso affrontarla: se chiama, la sento, anche se non sono costretto a rispondere. Posso impedire ai ratti e ai miei seguaci di aiutarla contro di te, ma niente di più.»
«Ti chiedo soltanto di guidarci al rifugio: al resto pensiamo noi.»
«Sei dunque così sicura di te stessa?»
«Sono disposta a giocarmi la vita.»
Coi gomiti sul tavolo, lui appoggiò le labbra ai polpastrelli uniti. Benché fosse in forma umana, sul suo avambraccio era visibile la cicatrice di ustione che aveva la forma, per quanto rozza, di una corona a quattro denti.
«Vi guiderò.»
Sorrisi. «Grazie.»
«Quando ne sarai uscita viva, allora potrai ringraziarmi», ribatté il licantropo, continuando a fissarmi.
«Affare fatto.»
Gli offrii la mano, e lui, dopo una breve esitazione, la prese: così ci scambiammo una stretta.
«Intendi aspettare qualche giorno?»
«No, voglio agire domani.»
Lui reclinò la testa. «Ne sei sicura?»
«Perché? È un problema?»
«Sei ferita. Credevo che volessi ristabilirti...»
Avevo qualche livido e la gola infiammata, però... «Come lo sai?»
«Il tuo odore... È come se stanotte la morte ti avesse sfiorata.»
Lo fissai. Irving non si comportava mai così con me: in altre parole, non manifestava i suoi poteri soprannaturali. Probabilmente perché s'impegnava molto a essere umano. Il capo dei ratti, invece, agiva in maniera del tutto diversa. Sospirai. «Questi sono affari miei...»
Lui annuì. «Ti chiameremo per comunicarti il luogo e l'ora.»
Mi rialzai, avviandomi all'uscita del locale.
Una decina di minuti più tardi, Edward mi raggiunse in auto. «E adesso?»
«Prima hai accennato alla tua stanza d'albergo... Be', ho intenzione di dormire, finché mi è possibile.»
«E domani?»
«Mi accompagnerai in un luogo adatto e m'insegnerai a usare il fucile a canna mozza.»
«Poi?»
«Poi andremo a cercare Nikolaos.»
«Oh, cielo...» commentò Edward, in un sospiro tremante che fu quasi una risata.
«Mi fa piacere scoprire che in questa faccenda c'è almeno qualcuno che si diverte...»
«Amo il mio lavoro», sorrise Edward.
Non riuscii a trattenermi dal sorridere a mia volta. In verità, anch'io amo il mio lavoro.
 
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