Capitolo 46

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petite88
view post Posted on 22/1/2008, 23:22





46



Il drago non uscì subito a divorarci. Anzi il rifugio era tranquillo... forse troppo.
Mi avvicinai a Edward. «Non è che mi lamenti, ma... dove sono andati tutti?» sussurrai.
«Forse hai ucciso Winter.» Edward si addossò alla parete. «In tal caso, resta soltanto Burchard, che forse è impegnato a sbrigare qualche faccenda.»
Scossi la testa. «È tutto troppo facile.»
«Non preoccuparti. Ben presto qualcosa andrà storto.» Edward ricominciò ad avanzare lungo il corridoio.
Lo seguii. Bastarono pochi passi per rendermi conto che non aveva scherzato.
Il corridoio conduceva a un ambiente simile alla sala del trono di Nikolaos, ma senza trono. Conteneva invece cinque bare, ciascuna collocata sopra una pedana, ognuna con un alto candelabro in ferro ai piedi e un altro in testa, le candele che ardevano.
Quasi tutti i vampiri cercavano di nascondere le bare in cui riposavano.
Nikolaos, invece, no.
«Arrogante...» sussurrò Edward.
«Già», sussurrai a mia volta. Si sussurra sempre in presenza delle bare, almeno all'inizio, come se si fosse a un funerale e si temesse di essere uditi.
La sala aveva un odore stantio e vagamente metallico, che mi s'insinuò in gola. Ricordava quello dei serpenti in gabbia. Insomma, era sufficiente quell'odore per capire subito che lì non si trovava nessun essere caldo e morbido... Ma nessuna descrizione potrebbe rendere piena giustizia all'odore dei vampiri. La prima cassa, antropoide come certe bare antiche, era in legno laccato, con maniglie in oro.
«Cominciamo da questa», suggerii.
Senza discutere, Edward sfoderò la pistola, sempre tenendo la mitraglietta a tracolla. «Ti copro io.»
Posato il fucile sul pavimento vicino alla bara, afferrai il coperchio, recitai rapidamente una preghiera, e lo sollevai, scoprendo che vi giaceva Valentine, senza maschera sul viso sfigurato, ma sempre abbigliato in quel suo modo retro, tutto in nero tranne la camicia col petto adorno di gale, che era cremisi: una scelta di colori che non si addiceva molto ai suoi capelli castano-ramati. Una mano era posata sopra la coscia in una posizione
di riposo molto umana.
Con la pistola puntata al soffitto, Edward si curvò a guardare nella bara.
«È a questo che hai gettato l'acquasanta, vero?»
Annuii.
«Ottimo lavoro.»
Valentine era rimasto immobile: non sembrava neppure respirare. Dopo essermi asciugata le palme sudate sui jeans, gli tastai il polso: nulla. Aveva la pelle fredda al tocco. Era morto. Dunque, a dispetto delle nuove leggi, non poteva essere assassinato: non si può uccidere un cadavere.
D'improvviso, una pulsazione dell'arteria del vampiro mi fece scattare all'indietro come se fossi stata ustionata.
«Che succede?» domandò Edward.
«Ho sentito il polso!»
«Capita.»
Annuii. Se si aspetta abbastanza a lungo, il cuore batte e il sangue scorre, ma così lentamente che osservare il processo è penoso, sfibrante. La morte... Ma sapevo che cos'era, veramente?
Una cosa la sapevo: se fossimo rimasti lì fino a notte, saremmo morti, oppure avremmo rimpianto di non esserlo. Valentine aveva partecipato al massacro di oltre venti persone, aveva quasi ammazzato me e, non appena Nikolaos mi avesse privata della sua protezione, avrebbe tentato di portare a termine l'impresa. Ma dato che il nostro obiettivo principale in quel momento era proprio l'eliminazione di Nikolaos, non c'era scelta: o lui o io.
E io preferivo che toccasse a lui.
Mi sfilai lo zaino.
«Che stai cercando?»
«Paletto e martello», risposi, senza alzare lo sguardo.
«Non vuoi usare il fucile?»
«Ah, certo...» Lanciai un'occhiata a Edward. «Già che ci siamo, perché non noleggiamo anche una banda?»
«Se è soltanto per non fare rumore, c'è un altro metodo», disse lui.
Sebbene avessi già il paletto stretto in pugno, ero ben disposta a prendere in considerazione altre tecniche: la procedura tradizionale - quella che avevo adottato con la maggior parte dei vampiri - era comunque difficile e disgustosa. Mi ci era voluto un po', ma, alla fine, avevo anche smesso di vomitare.
Dal proprio zainetto, Edward prelevò un astuccio che conteneva alcune siringhe, poi prese una fialetta di liquido grigiastro. «Nitrato d'argento», spiegò.
Argento: il flagello dei non-morti, la rovina del soprannaturale, e per giunta in versione moderna. «Funziona?»
«Funziona.» Edward riempi una siringa. «Quanti anni ha, questo vampiro?»
«Poco più di cento.»
«Due dosi dovrebbero bastare.» Edward conficcò l'ago nella carotide di Valentine, il cui corpo fu scosso da un tremito prima che la siringa fosse riempita per la seconda volta. Sempre al collo, Edward praticò una seconda iniezione. Allora Valentine s'inarcò, aprendo e chiudendo la bocca come se stesse annegando e si sforzasse disperatamente di respirare. Dopo avere riempito un'altra siringa, Edward me la offrì.
La fissai.
«Non morde mica.»
Cautamente, presi la siringa col pollice, l'indice e il medio della mano destra.
«Che ti succede?»
«Non amo gli aghi...»
«Hai paura?» sorrise Edward.
Accigliata, lo guardai. «Non esattamente.»
Squassato dai tremiti, Valentine si agitò, sbatté le mani contro le pareti della bara ed emise un gemito soffocato, il tutto senza mai aprire gli occhi: stava trapassando dal sonno alla morte, per così dire. Finalmente, dopo un ultimo sussulto violento, si abbandonò contro una sponda come una bambola di pezza.
«Non sembra... morto», commentai.
«Nessuno lo sembra mai.»
«Se gli trafiggi il cuore con un paletto e gli stacchi la testa, allora non ci sono dubbi: è morto.»
«Questo metodo è diverso.»
Non mi piaceva. Valentine sembrava indenne e quasi umano, mentre io avrei preferito vedere carne putrescente e ossa polverizzate, per essere sicura che fosse definitivamente eliminato.
«Nessun vampiro è mai uscito dalla bara dopo una doppia dose di nitrato d'argento, Anita.»
Sebbene fossi poco convinta, annuii.
«Controlla le altre bare. Forza!»
Obbedii, continuando però a lanciare occhiate a Valentine, che, dopo avermi perseguitata negli incubi per anni e dopo avermi quasi uccisa, non mi sembrava... abbastanza defunto.
Aprii la bara più vicina con una mano sola, tenendo nell'altra la siringa, anche se molto probabilmente un'unica iniezione di nitrato d'argento non sarebbe stata sufficiente. La bara era vuota: il corpo, di cui l'imbottitura rivestita in finta seta bianca aveva preso la forma come un materasso, era assente.
Trasalendo, mi guardai intorno: nessun vampiro era presente nella sala.
Lentamente sollevai lo sguardo al soffitto, sperando di non vedere levitare qualcuno sopra di me. In effetti, per fortuna, non c'era nessuno.
Probabilmente questa era la bara di Theresa. Già... Dev'essere proprio così... pensai. La lasciai aperta e mi accostai a quella accanto, lustra e ben tenuta, però più moderna e probabilmente non in legno massello. In essa riposava il maschio nero di cui non conoscevo, e mai avrei conosciuto, il nome. Ero consapevole del fatto che la nostra operazione non era semplicemente un atto di autodifesa, bensì implicava l'eliminazione di vampiri inermi. Per un momento pensai che, a quanto ne sapevo, quel vampiro non aveva mai nuociuto a nessuno, poi rammentai che era un protetto di Nikolaos: potevo davvero illudermi che non avesse mai assaggiato sangue umano?
No. Accostai l'ago al collo, deglutendo a fatica: pur senza una ragione precisa, detesto gli aghi.
Conficcai l'ago e, a occhi chiusi, spinsi lo stantuffo. Gli avrei piantato a martellate un paletto nel cuore e l'avrei fatto quasi senza batter ciglio, eppure praticare un'iniezione mi fece correre un lungo brivido lungo la spina dorsale.
«Anita!»
Mi voltai di scatto e vidi Aubrey che, seduto nella sua bara, stava lentamente sollevando Edward dal pavimento, tenendolo per la gola.
Il fucile era rimasto accanto alla bara di Valentine. Sfoderai la 9 mm e mirai alla fronte del vampiro. Centrato dalla pallottola, Aubrey gettò la testa all'indietro, poi sorrise e riprese a sollevare Edward, il quale, con le gambe ciondolanti e i piedi che non toccavano più terra, si aggrappava con entrambe le mani al braccio di Aubrey, per evitare di essere strangolato dal suo stesso peso.
Corsi a prendere il fucile.
Quando Edward abbassò una mano per prendere l'Uzi, Aubrey gli afferrò il polso. Raccolsi il fucile, avanzai di due passi e feci fuoco da meno di un metro di distanza. La testa di Aubrey esplose, imbrattando la parete di sangue e di materia cerebrale.
Il braccio destro si abbassò e Edward toccò di nuovo il pavimento, però la mano del vampiro si strinse convulsamente intorno alla sua gola, impedendogli di respirare, mentre le dita cercavano di sfondare la trachea.
Per sparare al petto del vampiro fui costretta a girare intorno a Edward, che ormai respirava a stento. La seconda scarica di pallettoni spappolò il cuore e quasi tutta la metà sinistra del torace: il braccio sinistro rimase unito alla spalla soltanto da alcuni brandelli di muscolo e di ossa. Il cadavere ricadde nella bara e si afflosciò.
Rantolando, Edward cadde in ginocchio.
Temevo che Aubrey gli avesse spezzato la trachea: in tal caso, non avrei saputo che fare, se non, forse, tornare di corsa dai ratti mannari per chiedere aiuto a Lillian, il medico. «Se riesci a respirare, annuisci», dissi, ancora assordata dagli echi delle fucilate, rimbalzati fra le pareti in pietra.
Per fortuna, Edward annuì. Aveva il volto paonazzo, però respirava. Ricaricai il fucile. Al diavolo il nitrato d'argento! Ritornai alla bara di Valentine e spappolai il vampiro a scariche di pallettoni. Adesso è morto davvero.
Barcollando, Edward si rimise in piedi. «Quanti anni aveva, quel mostro?» chiese, con voce rauca.
«Più di cinquecento.»
Dolorosamente, a giudicare dalla sua espressione, Edward deglutì.
«Merda...»
«Non mi sembra il caso di azzardarci a infilare aghi nelle vene di Nikolaos...»
Appoggiato alla bara del vampiro che lo aveva quasi strangolato, Edward mi lanciò un'occhiataccia.
Mi avvicinai alla quinta bara, collocata a ridosso della parete: quella che per tacito accordo avevamo lasciato per ultima. Era bianca e di squisita fattura, troppo piccola per contenere il cadavere di un adulto, con un coperchio scolpito che rifletteva, luccicando, le fiamme delle candele.
Respinsi la tentazione di sparare senza aprirla perché mi era necessario vedere la Master. Dovevo vedere a che cosa stavo sparando.
Mi sentivo la gola serrata e il cuore palpitante nel petto oppresso, perché uccidere un Master era sempre pericoloso, anche di giorno. Si rischiava di essere ipnotizzati dallo sguardo e di rimanere paralizzati fino a notte. Si doveva affrontare il potere della mente e della voce: un potere immenso. E Nikolaos era il vampiro più potente che avessi mai incontrato. Il crocifisso benedetto che portavo al collo era una difesa, però me ne erano stati strappati troppi perché potessi sentirmi davvero protetta. Tentai di sollevare il coperchio con una mano sola, ma invano. Era troppo pesante.
«Puoi aiutarmi, Edward? O sei ancora impegnato a reimparare come si respira?»
Riacquistato un colorito quasi normale, Edward mi si avvicinò e afferrò il coperchio, mentre io imbracciavo il fucile. Quando lui lo sollevò, il coperchio si spostò di lato, perché non era incernierato.
«Merda!» commentai.
La bara era vuota.
«State cercando me?» Dalla porta giunse una voce musicale. «Fermi! Si dice così, vero? Vi teniamo sotto tiro.»
«Non ti consiglio d'impugnare quell'arma», aggiunse Burchard.
Guardai Edward: le sue mani erano vicine all'Uzi, ma non abbastanza. Il suo viso era calmo, normale, come se fossimo a una scampagnata. Io invece ero così spaventata che sentivo sapore di bile in gola. Ci scambiammo un'occhiata, poi alzammo le mani.
«Giratevi lentamente», ordinò Burchard.
Obbedimmo.
Lo schiavo della Master impugnava un fucile semiautomatico. Non essendo una fanatica delle armi da fuoco come Edward, non avrei saputo dire di che marca fosse, però di certo poteva fare buchi molto grossi. Notai anche l'impugnatura di una spada appesa alla schiena di Burchard: aveva una spada, un'autentica spada...
Accanto a lui stava Zachary, che impugnava una pistola a due mani, con le braccia tese, e non sembrava granché contento.
«Gettate le armi, per favore», riprese Burchard, che imbracciava il fucile come un tiratore nato. «E intrecciate le mani dietro la nuca.»
Obbedimmo di nuovo. Edward lasciò cadere l'Uzi e io abbandonai il fucile.
Entrambi, comunque, avevamo ancora addosso armi in abbondanza.
Nikolaos, in disparte, appariva gelida e infuriata. La sua voce echeggiò in tutta la sala, quando disse: «Sono più antica di quanto possiate immaginare.
Credevate davvero che la luce del giorno potesse imprigionarmi?
Dopo mille anni?» Avanzò, badando a non porsi tra noi e i suoi due seguaci, e guardò ciò che restava nelle bare. «Pagherai per questo, Risvegliante.» Quindi sorrise. Prima di allora non avevo mai visto nulla di così malvagio.
«Togli loro tutte le altre armi, Burchard. Poi organizzeremo un party per la Risvegliante.»
«Contro il muro, Risvegliante», ringhiò Burchard. «Zachary...» chiamò poi. «Se l'uomo si muove, sparagli.» Quindi mi spinse contro la parete e mi perquisì scrupolosamente, astenendosi soltanto dall'esaminarmi i denti e dall'ordinarmi di togliere le mutande. Così trovò tutte le mie armi, inclusa la Derringer. Infine intascò il mio crocifisso. Pensai che, se la sfangavo, forse potevo farmene tatuare uno su un braccio... ma probabilmente non sarebbe servito allo scopo.
Quando mi fui allontanata dal muro, mentre Zachary mi teneva sotto tiro, Burchard perquisì Edward.
«Lei lo sa?» chiesi, scrutando Zachary.
«Taci.»
«Ah! Non lo sa, eh?»
«Zitta!»
Ancora una volta l'uno accanto all'altra, ma completamente disarmati, Edward e io intrecciammo di nuovo le mani dietro la nuca: non offrivamo un bello spettacolo.
Avevo l'adrenalina che spumeggiava come champagne e il cuore che pulsava tanto violentemente da minacciare di schizzarmi fuori dalla gola, però quello che veramente mi atterriva non erano le armi: era Nikolaos.
Cosa avrebbe fatto a noi? A me? Se avessi potuto scegliere, avrei obbligato i miei avversari a sparare: sarebbe stata una fine sicuramente preferibile a qualunque supplizio stesse escogitando la piccola mente malvagia di Nikolaos.
«Sono disarmati, Master», dichiarò Burchard.
«Bene. Sai cosa stavamo facendo, mentre voi due annientavate i miei seguaci?»
Non credevo che Nikolaos desiderasse una risposta, perciò rimasi in silenzio.
«Ci stavamo occupando di una persona che ti è cara, Risvegliante.»
L'immagine di Catherine mi balenò nella mente, facendomi sussultare.
Però che lei era fuori città. Oddio... Ronnie! Avevano forse catturato Ronnie?
Sicuramente la mia espressione lasciò trapelare il mio timore. Nikolaos si abbandonò a una risata acuta, selvaggia, vibrante di entusiasmo.
«Odio quella risata» commentai. «Davvero.»
«Silenzio», ordinò Burchard.
«Oh, Anita... Sei così divertente!» La voce acuta e infantile di Nikolaos assunse gradualmente un tono così profondo da farmi rabbrividire. «Sarà un grande piacere, per me, trasformarti in una mia seguace.» Poi, con voce limpida, comandò: «Entra qui, subito».
Un rumore di passi strascicati precedette l'ingresso di Phillip, che si guardò intorno, come se non vedesse nulla. Rimarginato, l'orribile squarcio che gli aveva straziato la gola era coperto da uno strato spesso e bianco di tessuto cicatriziale.
«Dio mio...» sussurrai.
L'avevano resuscitato.
 
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